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di Nino Grasso*
Il primo applauso, quello più sentito, tributatogli venerdì scorso dalla platea del teatro Stabile di Potenza, Vito De Filippo se lo è guadagnato quando ha stigmatizzato l’intolleranza recentemente manifestata da alcune frange estremiste nei confronti della Cisl di Raffaele Bonanni. Perché – ha detto – ogni qual volta c’è una violazione del legittimo diritto di espressione di un uomo del sindacato, sia che coinvolga il segretario nazionale che anche l’ultimo dei delegati di fabbrica, è l’intero tessuto democratico del nostro Paese a subire una odiosa e insopportabile incursione.
Il presidente della Regione Basilicata non ha usato mezze parole per bollare alcuni recenti atti di inciviltà a cui la Cisl è stata fatta segno a Roma come in altre parti del paese, in nome di un fondamentalismo ideologico che affonda le radici negli anni bui della storia italiana. Ovviamente, non lo ha fatto solo per una forma di garbo istituzionale, in occasione di un anniversario di tutto rispetto, qual è quello che la più grande Confederazione sindacale cattolica italiana sta festeggiando in questi giorni dopo 60 anni vissuti da protagonista.
Non è stato un caso che Vito De Filippo abbia voluto cogliere lo spunto offertogli dalla cronaca quotidiana per segnalare la necessità di dar vita ad una nuova “resistenza civile”, fatta di valori, forza e determinazione che faccia tesoro della esaltante esperienza sindacale del passato per affrontare con uno “sforzo di generosità” da parte di tutti le sfide difficili del momento.
Mai come in questo momento – ha detto – dobbiamo recuperare dal nostro lessico quotidiano parole come concertazione, confronto democratico, serietà dei soggetti chiamati in causa.
Solo pochi istanti prima, nel pronunciare la “prolusione” preparata per l’occasione, il segretario regionale della Cisl di Basilicata, Nino Falotico, aveva pubblicamente riconosciuto che c’è un dialogo proficuo in atto tra movimento sindacale, da un lato, e giunta regionale, dall’altro, da iscrivere soprattutto a merito del governatore in carica. Per cui quando De Filippo, parlando a braccio, ha fatto della linea del “dialogo” e della “collaborazione” col sindacato il leit motiv del proprio intervento, è apparso subito chiaro che quello dello Stabile non è stato un momento rituale. Una cerimonia da custodire nel labile archivio della memoria e basta. O peggio ancora un atto di prammatica istituzionale, da consumare nella foga degli impegni quotidiani.
L’autorevolezza degli ospiti invitati sul palco (da Colombo a Folino, da Lacorazza a Stella e Santarsiero, da Carrano a Cerrito), ma soprattutto la presenza, in prima fila, dei segretari regionali della Cgil, Antonio Pepe, e della Uil, Carmine Vaccaro, nella loro qualità di ospiti d’onore del “collega” Nino Falotico, ha fatto del sessantesimo anniversario della fondazione della Cisl una occasione irrinunciabile per lanciare, da un lato, un grido di allarme, e porre le premesse, dall’altro, per quella “resistenza civile” a cui Vito De Filippo ha fatto più volte riferimento.
Qual è stato il “grido di allarme”? Semplice: l’Italia sta vivendo un tempo difficile e complicato. Perché la più radicale delle riforme federaliste, quella deputata a stravolgere lo scenario delle relazioni istituzionali nel nostro Paese, sta prendendo corpo in uno dei momenti più difficili della vita economica della Nazione. Per cui c’è un rischio forte. Fortissimo. Che è quello di veder scaricare sulle aree più deboli del Paese – e quindi sul Mezzogiorno – i costi di un egoismo territoriale che alcune forze politiche radicate nel Nord, come la Lega, non si preoccupano nemmeno più di celare.
Ecco allora la necessità di parlare con il vocabolario della “concertazione” a portata di mano. Di qui il bisogno ineludibile di dar vita ad uno sforzo di “generosità” collettiva, di cui il sindacato, per primo, deve essere interprete, sapendo che per farlo bisognerà per intanto ricostruire le condizioni per una vera e convinta “unità” d’azione tra le tre maggiori Confederazioni.
Un sindacato diviso, litigioso al proprio interno, non serve all’Italia. Non serve al Mezzogiorno. Soprattutto non serve alla Basilicata che ha viceversa bisogno di corrette relazioni istituzionali tra Cgil, Cisl e Uil, da un lato, e Regione, Province e Comuni, dall’latro, per evitare l’insorgenza di tensioni sociali e di quel ribellismo distruttivo che, come è solito dire Vito De Filippo, ha l’unica ambizione di volerci far precipitare nel vuoto.
*Portavoce Presidente Regione
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