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di DOMENICO LOGOZZO
«Ripulita Siderno, per almeno sette anni non ci saranno mafiosi in circolazione e perciò la società civile deve occupare subito tutti gli spazi vitali, per impedire che si ritorni al passato». Queste parole il magistrato antimafia Nicola Gratteri le aveva pronunciate l’estate scorsa durante la presentazione a Gerace del libro scritto con Antonio Nicaso “La malapianta”, subito dopo il primo blitz antindrangheta. Oggi appaiono di più stretta attualità in seguito ai colpi inflitti alle organizzazioni che avrebbero per anni influito in maniera nefasta su una cittadina che nei primi anni Settanta esprimeva sindaci e politici di prim’ordine, da Cosimo Jannopollo, al senatore Virgilio Condarcuri, da Peppino Brugnano al senatore Giuseppe Fragomeni, da Oreste Sorace a Paolo Lanzafame. E tanti altri esponenti democristiani e anche di destra, che avevano come fine ultimo l’intento reale di contribuire a rendere la città-guida del progetto di rinascita dell’intera fascia jonica della provincia di Reggio Calabria. Senza scippi. Ma concordando gli interventi. Difficile opera, non sempre per la verità pienamente riuscita. Cercando di attutire i deleteri ed esasperati campanilismi con la vicina Locri, dove la rappresentanza era abbastanza consistente e potente con la Dc dei big Laganà, Murdaca, Fimognari, Pelle. A Siderno c’erano stati leader che avevano saputo portare la cittadina jonica a livelli economici, occupazionali e turistici davvero ragguardevoli. Grande attenzione alle infrastrutture. Nuovo ospedale, ricettività che non aveva nulla da invidiare alle più rinomate località del centro e del Nord Italia. Una politica nuova per la nuova Calabria. E le forze di sinistra esprimevano uomini di grande prestigio e di illuminati ideali. Ricordiamo i comunisti Condarcuri e Fragomeni. Politici con la P maiuscola, che anteponevano gli interessi della collettività agli egoistici affari “sporchi” personali. C’era una classe politica che credeva negli ideali e sugli ideali si discuteva nelle affollate assemblee delle sezioni di partito. Non centro di potere, ma laboratorio politico. E non come avviene oggi sulla spartizione delle poltrone. La politica delle idee, del fare, contro il clientelismo parassitario e i favoritismi che alla fine, con la scomparsa dei vecchi e saggi leader, hanno purtroppo visto emergere l’assurda e mortificante politica del malaffare. No, Siderno non era la capitale del crimine. Non è la città che viene riempita di fango oggi dalle forze antisociali. Era una città culturalmente evoluta. Gli uomini d’ingegno cercavano di elaborare piani sempre più validi e concreti, ancorati alla realtà locale, espressione diretta dei bisogni della gente, non imposizione delle cosche o dei “partiti deviati” ad esse legate. Con l’operazione compiuta a Siderno, gli inquirenti sono convinti di avere dato un colpo mortale al crimine organizzato che paralizza e condiziona da anni la vita di un città che – lo ripetiamo – negli anni Sessanta-Settanta era considerata un fiore all’occhiello della Costa dei Gelsomini. Nascevano insediamenti turistici di prim’ordine, il commercio era fiorente, si investiva nelle infrastrutture. Tante buone intenzioni. Poi, la svolta negativa. L’uccisione del boss dei boss ‘Ntoni Macrì segnava lo sbriciolamento dei vecchi equilibri. La “nuova mafia” si tuffava a capofitto negli affari più infami e lucrosi. Veniva infranta l’inviolabile regola dell’“onorata società”: non fare mai del male alle donne ed ai ragazzi. Tutto gettato dietro le spalle. Sparatorie, sequestri a raffica. La Locride terra di barbari. Non c’era più il freno del vecchio boss dei boss. Sequestrata Anna Rita Matarazzi, sequestrato il cugino Tobia. L’azienda costretta a chiudere. I Matarazzi, pesantemente indebitati e costantemente minacciati, lasciavano Siderno e ritornavano a Castellammare di Stabia. Un crollo dell’economia pulita e dei sani valori, mentre le cosche si organizzavano, entravano in politica e punivano la gente buona e onesta della grande Siderno. Che tristezza, una sera, vedere Anna Rita Matarazzi lanciare un appello dagli schermi televisivi nazionali: «La mafia ci ha ridotto al lastrico, non abbiamo più niente, vi prego aiutatemi a trovare un posto di lavoro. Sono disoccupata, disperata». Drammatico l’Sos della ragazza, figlia di una famiglia ricchissima travolta dai guai criminali, che ad appena 17 anni era stata rapita da un commando dell’anonima sequestri e tenuta segregata per mesi nelle impervie campagne dell’Aspromonte. Sottoposta ad ogni sorta di umiliazioni. Per capire la ferocia dei banditi, basta ricordare che mentre il commando era in fuga nei boschi, una famiglia di poveri contadini, nonna, mamma e figlio, venne sterminata dai criminali, per togliere di mezzo qualsiasi testimone. I cadaveri putrefatti, abbandonati nelle campagne di Mammola, vennero trovati alcuni mesi dopo. I paesani non si erano allarmati perché i componenti di quella sfortuna famiglia, vivendo molto lontano dal centro abitato, solo di tanto in tanto scendevano in paese. Le lunghe assenze facevano parte della “normalità”. Capita la svolta criminale esplosa negli anni Settanta e oggi in ulteriore e preoccupante espansione? L’appello di Nicola Gratteri: «Rioccupate i luoghi-chiave di Siderno», non deve perciò cadere nel vuoto. La società civile ha il dovere di riprendere in mano la situazione. La legalità è un bene di tutti e tutti debbono difenderla. Segnali di speranza emergono. Ne sono la prova le recenti condanne in processi importanti come quello Congiusta, mentre si auspica che si possa veramente fare piena luce sul delitto Fortugno, eliminando tutte le “zone grigie” più volte denunciate, anche recentemente e soprattutto in occasione dell’anniversario dell’uccisione dell’ex vicepresidente del consiglio regionale. E’ pur vero che ci sono troppi veleni. Tanta sottovalutazione. E difficoltà ad arrivare a quelle verità che la pubblica opinione invoca per poter vivere serenamente, vedendo garantite le norme più elementari della convivenza. E qui vengono chiamate in causa le istituzioni. E soprattutto lo Stato che deve tutelare i suoi fedeli servitori. Notizie di questi giorni annunciano la possibile archiviazione delle indagini sulle cimici che dovevano spiare il magistrato antimafia Gratteri. A Gerace, su questo torbido ed inquietante caso avevamo fatto questa domanda al giudice: «Si è mai sentito “tradito” dallo Stato?» Limpida, significativa e non evasiva la risposta: «Le cimici non sono venute certamente a mettermele da Pordenone». Chiaro, no? Gente di qua, che la sta facendo franca. Ma è giusto che ciò accada? Lo Stato può permettere che un suo servitore non venga adeguatamente protetto. Bisogna fare di più e meglio. Dice la gente e chiede agli inquirenti di assicurare alla giustizia i delinquenti che cercavano di apprendere dichiarazioni preziose anche da pentiti d’alto rango, beffando Gratteri e mettendo a repentaglio tante vite. No, così non va proprio bene.

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