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di FRANCO CIMINO
Diciamo la verità: Berlusconi è più forte delle sue debolezze, perché è più forte dei suoi avversari, le cui debolezze sono assai più grandi. E le sue debolezze sono meno grandi di quelle degli italiani, a cui ha trasmesso un virus camuffato da vitamina c. Quello che rende tutto mediabile dagli interessi, anche lo scibile umano e la sensibilità delle persone; che sostituisce l’ideale all’interesse, allo stesso modo in cui i numeri si sostituiscono alla politica. E la forza degli stessi al ragionamento. La forza di Berlusconi non è nel potere di “persuadere” la persona, parlamentare o affarista che sia, che gli è utile in quel dato momento. La sua forza è nella fragilità dei suoi interlocutori, nella loro permeabilità alla forza del più forte. Alla loro timidezza dinanzi al potere. Nella paura che si ha di contrastarlo. La forza di chi si oppone al potere si trova nell’intelligenza sostenuta dall’idea, nella posizione politica rafforzata dalla cultura. Cosa c’è di tutto questo nei molti parlamentare che sono saliti alla ribalta solo perché determinante sarebbe stato il loro voto per la sopravvivenza del governo? Nulla. Li abbiamo tutti visti: non belli, piuttosto brutti nella persona; diseleganti non solo nel vestire, affannati e sudati nell’esprimere la propria ambigua posizione, rabbiosamente conflittuali con la lingua italiana. Scappava da ridere quando l’altra sera un certo parlamentare transfuga, davanti alle tv di mezzo mondo, al giornalista che gli chiedeva quale voto avrebbe espresso, ha risposto esattamente così: “Stanotte speriamo di essere illuminati per votare nell’interesse del Paese”. Non sto scherzando, ha detto proprio così. Come quei cardinali che attendono di essere ispirati dallo Spirito Santo durante l’elezione del nuovo Papa. Quel parlamentare ha votato Berlusconi. E pensare che ha lasciato con il fiato sospeso tutta l’Italia. Ridicolo tutto questo. Assai di più lo è quell’immagine che ha trasformato il Parlamento in curva sud e in curva nord contrapposte. Penoso vedere i deputati applaudire questo o quel capo partito anche se non ha detto nulla. Solo qualche battuta d’effetto priva di contenuto politico. Poi il nulla, salvo le dovute eccezioni. Le solite. E via a scaldarsi le mani, prima di alzarle contro il deputato nemico, nell’emiciclo che attendeva ansimante l’esito del voto. A questo è ormai ridotto il Parlamento italiano. A uno stadio dove, assenti le famiglie e le persone pacifiche, gli ultras giocano a fare la guerra. Insulti e odio feroce. Contrapposti. Un veleno sputato sulla società italiana, sempre più preda della disperazione e della dispersione degli ideali giovanili. I giovani diffidenti e sfiduciati prendono a modello non più gli abitanti della casa del Grande Fratello o i corteggiatori di Uomini e Donne, ma i rappresentanti del Paese operanti nella sede in cui la nazione dovrebbe rispecchiarsi. E nella quale educarsi. Dopo il risultato scontato del Senato, 314 voti contro 311 alla Camera. Ha vinto Berlusconi. I numeri dicono questo. E, tuttavia, ha perso il Paese. E non perché esista un governo e una maggioranza diversa da quella espressa dal voto popolare. E non perché a reggerlo è un voto trasversale e quindi ribaltonista. E non perché avrà difficoltà a governare, ostaggio come sarà di qualsiasi deputato che voglia sentirsi determinante. E non perché a caccia di quel parlamentare, dopo Berlusconi, ci andranno gruppi economici nascosti nelle varie lobby, corrompendolo molto di più di quanto altri non abbiano fatto finora. Ha perso il Paese perché a un Berlusconi più forte della sua stessa arroganza e della sua stessa idolatria personale, si riflette una opposizione debole. Maggiormente indebolita dal risultato di ieri. Fini è più debole perché sarà tirato dalla giacca da tanti parlamentari di FLI che gli si sono affidati sicuri del risultato vincente. E’ più debole perché la posizione di Italo Bocchino, espressa duramente in Aula, lo spinge su un versante che non è certo egli vorrà o saprà occupare. Soprattutto ora che sarà costretto ad esporsi personalmente nel sostenere la sua posizione politica. Casini, che obbiettivamente ha condotto una buona battaglia, avrà difficoltà a condensare le sue fatiche in una posizione più largamente condivisa da un’opinione pubblica disorientata e in cerca di sicurezze. Fini e Casini, le due nuove figure del panorama politico italiano, insieme sconteranno una certa ambivalenza nella proposta finale, apparsa mutevole quando si sono dichiarati disponibili a votare un Berlusconi bis. Ha perso il Paese perché a un berlusconismo in forte crisi “ideologica” e di rappresentatività, non si contrappone un’idea unitaria e una forza alternativa di governo, unitaria e credibile. Dell’attuale complessa situazione potrebbe, specialmente dopo la manifestazione di Piazza San Giovanni, avvantaggiarsi la sinistra. Ma è proprio qui che la forza del Cavaliere, diciamo, s’accresce. La sinistra è divisa. Difficilmente potrà unirsi. E quand’anche lo facesse non ha un leader capace di rappresentarla. Né un progetto politico. Negli ultimi tre anni, su quel terreno inaridito dagli stessi giochi di partito di stile berlusconiano, sono nati due leader: Walter Veltroni e Niki Vendola. Il primo non ha avuto il coraggio di continuare l’operazione di cambiamento da lui stesso avviata. Timidezza e codardia si sono saldate alle solite trame di palazzo che l’hanno fatto fuggire dalle responsabilità. Se ne è pentito. E si vede. Ma è tardi. L’altro, il presidente della regione Puglia, è inviso agli oligarchi del PD, senza il quale non si dicono messe. Potrebbe, egli da solo proporsi, sulla scia dell’ottimo discorso reso al Congresso di Sel di Firenze, ma non ne ha né la forza, né il tempo. Una grande sinistra, moderna ed europea, ha bisogno di spazi più ampi. E di pensose attese. Quelli di Vendola sono costretti nei tempi che scandiranno le elezioni, comunque ravvicinate. La nuova sinistra per essere credibile e vincere deve pensare in grande, e costruire un progetto che paradossalmente non sia per l’oggi. Ma che in parte oggi può essere utilizzato per governare il paese, attraverso una mediazione tra forze diverse e una leale alleanza con le cosiddette forze moderate, alle quali dovrà necessariamente cedere, per il tempo dell’emergenza, la guida del governo. E’ difficile credere che questa sinistra sia capace oggi di tanta intelligenza e di tanto coraggio. Ha paura di parlare alla sua base. Perché non la conosce. Invia parole all’Italia senza ascoltare quelle degli italiani. Oggi ci vorrebbe Aldo Moro. Peccato che non ci sia. Tuttavia c’è la sua lezione politica e il metodo di lavoro da lui elaborato. Ambedue insegnano che quando il Paese si trova in una grave crisi, determinata soprattutto dalla resistenza di un potere che non ragiona, le forze oppositrici, prima che di opposizione politica, devono operare insieme per il tempo necessario all’uscita dell’Italia dal tunnel. Poi, ciascuna forza politica potrà andare nella direzione indicata dai suoi elettori, dalla sua storia, dalla sua cultura. E’ quello che ancora si può fare. Partendo dal risultato odierno. Berlusconi ha una maggioranza. Risicata. Ha comunque il dovere di governare. Se ne ha la forza. Tutti gli altri però si impegnino a mettere in pratica quanto avrebbero voluto inserire in un breve programma di un breve governo. Si parta dalla legge elettorale. Ci si metta d’accordo anche su una provvisoria che cancelli l’attuale schifezza operante, vera arma in mano a Berlusconi. Le opzioni sono tante, non sceglierne alcuna è delittuoso. E poi si proponga una legge per sanare il conflitto di interesse, tipico dei paesi sudamericani o dell’Africa d’altri tempi. Infine, si vari una legge per la giustizia giusta, che blocchi gli insaziabili appetiti del leader del PDL, che ancora concepisce la magistratura come un suo nemico capitale e la Giurisdizione come un ostacolo al suo disegno politico. Saranno capaci i capi dei tanti partiti anti-berlusconi di costruire un percorso nuovo per la democrazia italiana? Lo vedremo più avanti, col passare dei giorni. Quando la partita si farà certamente più dura di come appare adesso.
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