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Le guerre prima o poi finiscono. Ed anche la partita con il coronavirus finirà e certamente la vinceremo. Resteranno sul campo di battaglia tante perdite, militari e civili. Le forze in campo con camice bianco, che, con le mani nude e spesso senza mascherine, hanno combattuto i carri armati di una pandemia, presa sotto gamba, scambiata per una semplice influenza, che si è infiltrata nella sanità lombarda, come i greci fecero con il cavallo espugnando Troia, e poi contagiando tutto il Paese, l’Europa e probabilmente il Mondo. Ma ci sveglieremo da questo incubo e usciremo di nuovo all’aperto: novelli Noè scenderemo dall’arca quando le acque si ritireranno.
Cosa troveremo alla fine del tunnel quando il cigno nero sarà sconfitto non è facile da immaginare. È più facile ipotizzare cosa potremmo non trovare. Dell’Europa forse non più Schengen, perché ogni paese avrà i suoi tempi del contagio e certo l’Italia, che ha iniziato prima ad adottare le misure di distanziamento, non vorrà ricontagiarsi. Ma anche altri Paesi si vorranno difendere. Sarà quindi complicato riaprire i confini.
Anche l’Europa della moneta potrebbe uscirne a pezzi perché, archiviato il patto di stabilità, non sarà facile imporre le regole precedenti a un’Europa in ginocchio. La lunga marcia di avvicinamento verso un’unità politica potrebbe subire un contraccolpo molto pesante. Più facile che ritorni l’Europa delle piccole patrie, considerato che nel momento del bisogno molti ritengono che non abbia battuto un colpo. Al di là del “siamo tutti italiani” della presidente della commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, ricordiamo tutti bene la gaffe della presidente della banca centrale europea Christine Lagarde, che ha fatto crollare la borsa italiana di tanti punti come mai era accaduto.
Dopo la seconda guerra mondiale ci siamo ritrovati il piano Marshall, che ha consentito di avere risorse importanti per finanziare la ricostruzione. Ma non mi pare che gli USA di Trump vorranno caricarsi aiuti nei confronti del vecchio continente. Quello che figure come Harry Truman poterono concepire ed attuare non sarà facilmente ripetibile, anche perché gli equilibri mondiali sono cambiati ed i mercati di consumo moltiplicati.
Malgrado l’importanza dell’Europa non potrà crollare, certamente non avrà la stessa importanza che aveva dopo la seconda guerra mondiale. Oggi vi sono altri interlocutori importanti come Cina, Giappone, India, Brasile, Corea del Sud, Israele e lo stesso Sud Africa per citarne solo alcuni. E certo la Germania riunificata, l’unica con una forza economica importante in Europa, non sembra avere voglia di porsi in un’ ottica di leader di gruppo. Piuttosto sembra più pronta a difendere il proprio surplus contro ogni idea di solidarietà virtuosa.
Anche le grandi organizzazione sociali, come la Chiesa cattolica, sembrano aver perso quel ruolo di guida che nella ricostruzione fu tanto importante per molti paesi e certamente per l’Italia. Ed anche quei grandi soggetti dei partiti di massa non esistono più e vengono sostituiti da raggruppamenti che fanno spesso capo solo a uno pseudo leader, che spesso dura lo spazio di una stagione. In tale drammatica situazione cosa potrà fare un Sud che già era entrato nell’arca con tanti acciacchi e senza classe dirigente.
La cosa più facile è che sarà sempre più alla merce della propria classe dominante estrattiva, pronta ad arricchirsi come i monatti nella peste di Milano. In tempi di vacche grasse la classe dirigente del Paese si è occupata poco del Sud, lasciandolo affondare nel suo mancato sviluppo, pronta solo a sottrarre risorse e capitale umano, come si è visto dai 100.000 rientrati nel momento delle difficoltà, come peraltro silenziosamente succedeva anche prima, quando i pensionati, emigrati al Nord, si ritrasferivano al Sud, nel momento in cui non sarebbero stati più produttivi, appesantendo una sanità già in difficoltà.
Adesso è pensabile che lo farà quando i problemi saranno per tutti e ci sarà un “si salvi chi può”? Chi si caricherà il peso di investire nell’alta velocità ferroviaria meridionale, quando non lo si è fatto nei momenti in cui si poteva, preferendo destinare risorse a quota 100? Già alcuni risultati della politica di rapina la si vede con i fondi strutturali, che sono stati utilizzati come bancomat per tutte le emergenze, come ci insegna Svimez. Perché dovrebbe cambiare qualcosa oggi che l’emergenza è vera? Avremo sempre più Monti, tipologia di chi con un colpo di penna cancellò il progetto cantierabile del ponte sullo stretto.
Adesso pensiamo a salvare la pelle, ma certo riflettere a come trovarsi preparati per la ricostruzione non è sbagliato. Solo una capacità ed una consapevolezza del popolo meridionale diversa, che dovrà dimenticare di scegliere la classe dirigente estrattiva e cominciare a selezionare statisti, abbondanti nel Sud, se pensiamo a Moro, ai fratelli Mattarella, a Napolitano solo per citare qualche nome, potrà fare la differenza. Se Cristo si è fermato ad Eboli è solo perché noi stessi meridionali gli abbiamo impedito di scendere. E’ venuta l’ora di accompagnarlo nelle bellezze delle nostre terre.
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