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«LA SUA ispirazione appartiene a un pittore che non ha nulla da spartire con i maestri che lo hanno preceduto; definirlo un iniziato è quindi un atto dovuto». Il critico d’arte Paolo Levi utilizza queste parole nel descrivere la produzione di Giovan Battista Rotella, pittore catanzarese che proprio in questi giorni sta esponendo le sue opere a Cosenza, presso la galleria “Le Muse”.
Iniziato, dunque. Perché archiviata la prima quarantennale fase della sua carriera artistica, quella che i critici definiscono naturalistica e che pur lo ha portato a esporre in tutta Italia, ricevendo gli elogi della critica (con tanto di “Premio alla carriera” conferitogli da Vittorio Sgarbi nel 1997), il maestro nato a Gimigliano nel 1947 ha inaugurato un nuovo filone, di difficile definizione, sì, ma completamente innovativo, tanto da diventare immediatamente riconoscibile. Protagonisti della nuova fase creativa di Rotella sono i francobolli, riproduzioni curatissime di francobolli realmente esistiti, inseriti in delle composizioni pittoriche in cui vengono rapprentate buste da lettera con bizzarre e particolari intestazioni, timbrature postali e precise destinazioni.
L’obiettivo? Trasmettere la storia del Novecento, facendola raccontare direttamente ai suoi grandi protagonisti. Dal Duce a Kennedy, da Giovanni XXII a Berlinguer, da Marylin Monroe ad Aldo Moro. I loro volti nelle emissioni filateliche, unite alle missive affrancate, ci riconsegnano trame della storia passata attraverso la magia della rappresentazione pittorica. Come scrive lo stesso Levi, quella di Rotella «è un’invenzione estremamente abile», che colloca il pittore a metà strada tra tradizione e avanguardia concettuale.
Abbiamo fatto qualche domanda a Rotella in occasione della mostra cosentina che, ricordiamo, rimarrà aperta fino al prossimo 21 febbraio (orari 10.30-13 e 17.30-21).
Maestro Rotella, da qualche anno ha deciso di dare una svolta alla sua produzione artistica, passando da un tipo di raffigurazione naturalistica a una prettamente concettuale.
Come è avvenuto questo passaggio?
«Sentivo da tempo l’esigenza di trovare un nuovo tipo di linguaggio figurativo, che andasse al di là della semplice rappresentazione della realtà, di un paesaggio, di un fiore o di uno scorcio. Quell’esigenza che ti spinge a cercare quel qualcosa di innovativo che possa diventare tuo e solo tuo, una sorta di marchio di fabbrica».
Quel qualcosa lo ha trovato in questo utilizzo innovativo del francobollo. Come nasce l’idea di trasformare un pezzo di filatelia in un’opera d’arte?
«La passione per i francobolli nasce da bambino. Mio padre era collezionista, io guardavo quei pezzi unici e ne ero affascinato, tentando anche di riprodurli a matita. Nel corso degli anni, poi, l’idea di utilizzare quelle immagini nei miei quadri era sempre presente, mi sforzavo di trovare un modo di inserirli ma non riuscivo a trovare come. Poi, qualche anno fa, questo come l’ho avuto ben chiaro in mente».
Il francobollo perde dunque il suo utilizzo ordinario e ne assume uno tutto nuovo nello spazio pittorico. Il che attinge direttamente dalle esperienze degli avanguardisti della prima metà del Novecento…
«Beh, sì, possiamo considerare gli esempi più celebri, la pipa di Magritte, l’orinatoio di Duchamp, e da lì via via non si è più smesso di cambiare “destinazione d’uso” agli oggetti. Ma ai francobolli nessuno aveva mai pensato».
Ecco perché Levi la considera un iniziato.
«Se mi guardo dietro non vedo nessun’altro a cui le mie opere possano rifarsi. E sono molto contento di questo. Chi guarda un mio quadro, oggi come tra cinquant’anni, a Catanzaro come a Londra, non potrà non riconoscerlo come una mia opera, non potrà avere dubbi. Cosa che non avviene con un quadro, per quanto bello, che raffiguri una porzione di realtà».
La realtà lascia dunque spazio al concettuale…
«Sì, chi compra un mio quadro compra un’idea, una mia idea e non una riproduzione di qualcosa di esistente. Il processo creativo nasce ora a tavolino e non davanti a un fiore o al mare».
Anche lo studio della storia diventa il punto di inizio dell’atto creativo. Il francobollo e la composizione pittorica sono dei veri e propri racconti del nostro passato.
«Amo raccontare la storia. E mi piace raccontarla attraverso la bocca, o diciamo la penna, dei diretti protagonisti. Ecco quindi che i francobolli di Moro e Berlinguer ci parlano del compromesso storico. La relazione tra Kennedy e la Monroe e il presunto suicidio di quest’ultima ci è illustrata direttamente da una fantasiosa missiva del presidente statunitense all’attrice, su cui è inserita la scritta “you can die for love”. E così via».
Nei suoi quadri, dunque, anche la parola scritta assume un ruolo fondamentale.
«Sì, e alcuni precisi riferimenti sono esplicitati per iscritto e solo chi conosce la storia ne può capire il senso».
Ci faccia un esempio.
«In una cartolina di D’Annunzio a Eleonora Duse, compare la parola Ghisola, che era il nomignolo con cui lo scrittore soleva chiamare l’amante».
In che misura è presente la Calabria nelle sue opere?
«Nelle prima fase della mia vita è stata molto presente. Se fai un tipo di pittura naturalistica vivi dei colori e dei paesaggi straordinari di questa nostra terra, essi ti coinvolgono per intero e vengono fuori quasi in modo automatico. Ora, naturalmente, in questa nuova forma espressiva che ho deciso di esplorare è venuta un po’ meno».
Lei è nato e cresciuto a Gimigliano. Che rapporto ha avuto e ha con il suo paese?
«È il mio paese e come tale non posso non portarlo nel cuore. Anche Gimigliano ha avuto un ruolo importante nella mia produzione. Avevo vent’anni quando iniziai a dipingere, non avevo macchina per spostarmi e quindi è da lì che ho attinto per i miei quadri. Le rughe del centro storico, il Santuario di Porto, la celebre “Pietra è Juezzi” di Gimigliano Inferiore, sono comparsi più volte nelle mie opere. Poi per necessità pratiche ho deciso di trasferirmi a Catanzaro, ma mi sono sistemato in una zona tranquilla, quasi per sentirmi ancora in paese. E torno spesso lì, anche semplicemente per prendere un caffè al bar di mio fratello o per fare due passi con i vecchi amici».
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