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di ENZO ARCURI
Adesso possiamo tutti guardare con fiducia al nostro futuro perché il governo del fare ha finalmente deciso di dare una mano al Mezzogiorno? Non sono molti quelli che pensano che, sì, probabilmente il governo di centro destra una mano al Sud stia tentando di darla. La maggioranza fra quanti non sono faziosamente appiattiti sul mito berlusconiano è piuttosto cauta e si interroga responsabilmente sulle reali intenzioni del Governo e soprattutto sulla provenienza delle risorse finanziarie messe a disposizione del Sud. Non si tratta di essere pregiudizialmente critici nei confronti di questo Governo e di questa maggioranza, che in questi due anni e mezzo hanno sacrificato le buone ragioni del Mezzogiorno per non dispiacere l’egoismo nordista della Lega di Bossi (emblematica la vicenda delle multe per le quote latte degli allevatori padani pagate con i fondi stanziati dal governo di centro sinistra per migliorare la viabilità in Calabria ed in Sicilia). Nessun pregiudizio, dunque, anche se chi abita a Sud di Roma, siamo sinceri, si è sentito in questi mesi abbandonato dai nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Il problema è che il piano per il sud varato recentemente dal governo con una previsione di spesa di cento miliardi di euro è, per un verso, abbastanza generico nelle indicazioni programmatiche e appare assolutamente inadeguato a fare fronte alla drammatica condizione del Mezzogiorno. Per un altro verso c’è la questione già da varie parti sollevata delle risorse finanziarie, tutte provenienti, è stato detto, dai fondi europei e quindi in larga parte espropriate alla competenza ed alle scelte delle singole regioni. Un bel pasticcio per un governo che si dichiara fortemente federalista, anche se sono note le valutazioni fortemente critiche che l’uomo forte del governo Berlusconi, il ministro dell’economia Tremonti, ispiratore e autore del piano, ha manifestato nei confronti della classe dirigente meridionale. Dunque nessuna sorpresa per questa svolta centralistica che mette sotto tutela le regioni meridionali, con buona pace dei governatori di centrodestra che hanno apprezzato e applaudito. A rendere ancora più cauti e ad accrescere le perplessità è il delicato momento politico scelto dal governo per “mobilitarsi” (si fa per dire) a favore del Sud. Il partito del premier, il Popolo delle Libertà, ha perso una gamba, è nata la formazione del presidente della Camera, Futuro e Libertà, Berlusconi ha “bruciato” il grande vantaggio conquistato nel 2008 ed alla Camera gli sono venuti meno numeri importanti, i sondaggi cominciano ad essere preoccupanti per il calo dei consensi, c’è sostanzialmente la crisi della maggioranza con la prospettiva, non tanto peregrina, di probabili elezioni anticipate nella prossima primavera. E dunque con Bossi e la Lega in forte crescita al Nord a danno evidentemente del partito del premier, con la formazione di Fini tradizionalmente radicata al Sud e accreditata nei sondaggi di un buon risultato, con i molti movimenti autonomisti che si agitano al di là e al di qua dello stretto, il partito del cavaliere doveva battere un colpo soprattutto dalle parti del Mezzogiorno, per tentare di rovesciare la vulgata di un governo fortemente condizionato dalla Lega e impegnato a sostenere le ragioni delle aree economicamente forti del Paese, quelle del nord ovviamente. Ora c’è da sperare che il varo del piano per il Sud non sia stato soltanto un altro annuncio, una boutade mediatica, il tentativo di recuperare credibilità in un’area del Paese che dal 2008 in poi (ma anche prima ) è stato un prezioso bacino di voti per il partito del cavaliere. E che il provvedimento si traduca presto in atti concreti per tentare di alleviare la drammatica condizione del Mezzogiorno che alla crisi sta pagando un prezzo altissimo. Sullo scenario meridionale estremamente preoccupante è la condizione calabrese, la regione che denuncia la crisi più acuta sotto tutti i profili ma alla quale il piano del governo, per quanto se ne sa, non dedica l’attenzione privilegiata di cui avrebbe viceversa bisogno. C’è il rinnovato impegno per il ponte, quest’opera di regime che fa tanto scena e immagine ma sulla cui compatibilità con l’ambiente e con le disponibilità finanziarie ci sono molti dubbi. C’è il richiamo al completamento dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria, un autentico tormentone da più di un decennio. E per il resto? Tutto da definire, probabilmente d’intesa con la Regione. Le esigenze sono tante e tutte fondamentali, la difesa del territorio da mettere al sicuro dal rischio idro-geologico che minaccia larga parte dei centri abitati calabresi, la salvaguardia delle coste minacciate dal mare, l’adeguamento delle infrastrutture stradali (a cominciare dalla statale 106 ), ferroviarie (alta velocità, linea jonica, trasversali), portuali (completamento dei collegamenti del porto di Gioia Tauro), interventi finalizzati a garantire la competitività del territorio calabrese per attrarre sani e validi insediamenti produttivi. Questa della competitività è questione prioritaria per garantire prospettive di successo a una politica di sviluppo, quella che appunto il piano per il Sud dovrebbe avviare e sostenere. Probabilmente le risorse messe in campo non basteranno per vincere la scommessa con lo sviluppo. Ma vale la pena tentare, cominciando, questa volta, a fare le cose per bene. Che significa niente sprechi, bando ai comparaggi e ai favoritismi, semaforo rigorosamente rosso per la malapianta mafiosa e per gli affaristi.

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