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Innanzitutto grazie. Grazie ai tanti medici italiani, ai tanti infermieri e a tutto il personale degli ospedali che stanno affrontando con grande dedizione questa pandemia che ci ha colti di sorpresa. Grazie a chi, con scrupolo e responsabilità, sta osservando le norme per la difesa della salute pubblica.
Grazie a chi fa la spesa agli anziani che non possono uscire di casa, ai ragazzi che consegnano a domicilio, ai salumieri, agli addetti dei supermercati, ai farmacisti, agli edicolanti che sono la trincea dell’informazione dove arriva il nostro lavoro. Grazie ai colleghi che stanno raccontando la crisi del coronavirus con grande professionalità, impegno e in molti casi infaticabilità. Grazie a tutti quelli che continuano a dare a questo nostro mondo malato una parvenza di normalità. Il virus venuto da un pipistrello, animale che da sempre rappresenta un simbolo inquietante e che non mi è mai piaciuto, non ha risparmiato nessuno come sapete: tutte le categorie dai medici ai giornalisti sono state colpite.
La mutazione genetica, il cosiddetto salto che ha fatto il virus, deve ora diventare una mutazione sostanziale del nostro mondo, delle nostre priorità, deve invertire le gerarchie di valori che avevano messo al loro apice il prodotto, la frenesia performativa, la corsa verso il possesso espropriando l’uomo dall’unica vera proprietà che può vantare: la sua vita.
Il tempo sospeso che ci tocca vivere non è tempo perduto. Il tempo perduto è stato quello che ha portato a sottovalutare i pericoli e a ridurre, ad esempio, in tutto il paese e soprattutto al Sud, i posti di terapia intensiva. E’ soprattutto questa grave lacuna che ha imposto a livello nazionale l’allargamento della zona rossa: non che il coronavirus non sia un bastardo pericoloso, anzi. Le sue insidie si sono manifestate ora in tutta la loro gravità.
Ma se solo il Paese non avesse chiuso tutti gli ospedali che ha smantellato – e nella nostra regione si contano tanti esempi – se ai ricercatori fosse stata data la dignità di compenso e fondi importanti per le loro sperimentazioni, se la salute delle persone fosse stato il vero core business della gestione della Sanità al posto del clientelismo diffuso, oggi forse potremmo affrontare questa emergenza con meno ansia. C’è una battuta che circola sui social in questi giorni e che sintetizza il mio ragionamento: “Avete dato milioni ai calciatori e 1300 euro ai ricercatori, ora fatevi curare da un attaccante”. Ma i giovani medici irpini ed italiani sono come quel Nino cantato da Francesco De Gregori ne “La leva calcistica del 1968”. Parafrasandola potremmo dire: un ricercatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Come ha fatto il medico del Cotugno Paolo Ascierto che ha somministrato un farmaco per l’artrite reumatoide ai malati di Coronavirus e sta ottenendo risultati così incoraggianti che altri ospedali, anche non italiani, stanno seguendo il suo esempio.
Il tempo sospeso, dicevamo, non è tempo perduto. Su come occuparlo ci sono mille proposte in giro: bellissima la chiamata alle arti del mondo culturale che, grazie ai social, sta intrattenendo gli italiani con concerti dai salotti, letture dalle cucine e sketch nei corridoi di casa. Il mio pensiero più caro va sì agli anziani soli, ai fragili, ma anche ai bambini che senza scuola ed asilo, hanno scardinato il senso delle loro giornate. Noi adulti, in questa occasione così unica – speriamo lo sia – dobbiamo essere forti e dare loro tutte le rassicurazioni aiutandoli a fare di questa esperienza un mattone importante per edificare la loro personalità, sana, forte, altruista e solida. Ma anche gioiosa e piena di fantasia. Questo tempo sospeso è anche il tempo della non fuga. Non fuga dalle cose accantonate da tempo – e queste “cose” qualche volte sono le relazioni – ma anche dai progetti lasciati in un angolo dimenticato perché la routine impone che ci sia sempre qualche altro impegno cosiddetto “più impellente”. L’invito e l’augurio che faccio a tutti per questa domenica nella zona rossa è quello di ripescare un vecchio sogno, spolverarlo e farlo diventare un progetto concreto. Oppure di inventarne uno nuovo e disegnarlo con precisione. Perché il coronavirus ci insegna anche che tutto è possibile. E se lo è nel male – chi di noi avrebbe immaginato tutto questo – lo è anche nel bene. Fate esercizio fisico – fatelo a casa o sul balcone – ma fate anche molta ginnastica della mente e del cuore. Usciamo da questa emergenza migliori.
Iniziamo subito. Finito di leggere questo articolo alzate lo sguardo e sorridete a chi vi è vicino.
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