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SERRA SAN BRUNO – “Non vidi o Patritiernu, lu mundu mu sdarrupi ch’è abitatu di lupi e piscicani?”. Torna a farsi sentire il grido di protesta del poeta scalpellino, Mastro Bruno Pelaggi (Serra San Bruno 15 settembre 1837 – 6 gennaio 1912), cantore in presa diretta della Questione meridionale, le cui poesie dialettali sono apprezzate da tanti studiosi e da una moltitudine di lettori. La voce della ribellione, ma anche la narrazione dei bozzetti di paese, torna a riecheggiare nelle librerie grazie al volume “Mastro Bruno Pelaggi, Poesie” nella versione di Sharo Gambino con introduzione e cura dello storico Tonino Ceravolo, pubblicato dalla Rubbettino in collaborazione con le Distillerie Caffo.
Il volume, scrive lo studioso, «è frutto dell’incontro tra le due maggiori personalità letterarie che il territorio delle Serre calabresi abbia prodotto nel periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento alla fine del Novecento. Il mestiere svolto da Pelaggi – chiarisce lo Ceravolo – insieme con il fatto che sembra dettasse abitualmente i propri componimenti poetici (“li stuori”) alla figlia Maria Stella, contribuirà in modo determinante a coniare il luogo comune di “poeta-analfabeta”, altre volte declinato sotto la forma più descrittiva di “poeta-scalpellino”, che si era impadronito delle tecniche di versificazione grazie ad una sorta di “sapienza” istintiva, di intuizione poetica naturale, indipendente da qualsivoglia formulazione culturale».
Ma è lo stesso Gambino, nella prefazione alla sua raccolta, a tracciare l’opera del Pelaggi: «La tirannide, la prepotenza esercitata dal potente sul povero egli la colpì additandola al disprezzo degli uomini di buona volontà; sbugiardò l’ingannevole parolaio elettorale tendente ad ingannare il popolo costretto all’ignoranza; e denunciò l’ipocrisia di una religione solo apparentemente praticata». Mastro Bruno, visse quasi tutta la sua parabola umana a Serra San Bruno, patria anche dell’amico, più volte ministro, Bruno Chimirri.
Il poeta serrese faceva uno dei mestieri più duri, lo scalpellino; aveva imparato la vita alla severa scuola della crudezza e aveva improntato la sua esistenza ai principi morali della giustizia e dell’uguaglianza, assumendo il concetto del bene e del giusto quale regola inflessibile di condotta, che osservò con estrema coerenza, senza timore di scontrarsi con l’ordine costituito e con la moralità del tempo. Le poesie di Mastro Bruno sono figlie di un “istinto di classe” che nasce dalla consapevolezza che al mondo esistono due categorie di esseri, gli sfruttatori e gli sfruttati, e dalla percezione del poeta serrese di appartenere a quest’ultima.
Nelle poesie di Mastro Bruno la Questione meridionale si manifesta non soltanto come testimonianza diretta, ma soprattutto come vicenda umana personalmente vissuta e sofferta che lo conduce, partendo dalla propria esperienza, a fare delle considerazioni e delle riflessioni più generali ed universali che saranno poi alla base della coscienza meridionalistica.
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