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Il premier Giuseppe Conte

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ROMA – «Non ci sarà più una zona rossa, ma ci sarà tutta l’Italia zona protetta». Con queste parole il premier Giuseppe Conte ha annunciato in serata «misure più stringenti», che tutti i cittadini devono rispettare, da nord a sud, per contrastare l’avanzata del coronavirus. Che ha fatto un nuovo balzo in avanti: i morti sono 463, altri 97 in sole 24 ore, i malati quasi 8.000, circa 1.600 in più.

«Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare tutte le nostre abitudini», ha detto Conte. «Ma non abbiamo più tempo: c’è una crescita importante dei contagi e delle persone decedute. Quindi dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia e lo dobbiamo fare subito».

Il provvedimento che il premier si accinge a varare e che entrerà in vigore da domani – con il «plauso» delle regioni, informato il Quirinale e coinvolte le opposizioni – «può essere chiamato – ha detto Conte – “io resto a casa”». Esso prevede, tra l’altro, un divieto di assembramento in tutta Italia; spostamenti possibili solo per motivi di lavoro, necessità o salute (è prevista l’autocertificazione per gli spostamenti e “mentire è reato”); la chiusura delle scuole fino al 3 aprile e lo stop a tutte le manifestazioni sportive (“non c’è ragione che proseguano”), campionato di calcio compreso; controlli degli ingressi in Italia. Non è invece «all’ordine del giorno – ha proseguito il presidente del Consiglio – una limitazione dei trasporti pubblici: questo per garantire la continuità del sistema produttivo e consentire alle persone di andare a lavorare». Sono però previsti «controlli per gli ingressi in Italia».

Per quanto riguarda l’aspetto economico «abbiamo concordato in Europa una richiesta di scostamento per 7,5 mld», ha affermato il premier, ma – ha aggiunto – «stiamo ragionando sulla possibilità di precostituirci una richiesta un po’ più elevata».

Il bilancio dell’epidemia inesorabilmente si aggrava: a fronte di un numero complessivo di contagiati pari a 9.172, le persone attualmente positive sono 7.985, con un nuovo balzo di 1.598 rispetto al giorno precedente, pari ad un +25%. Sono 733 quelli ricoverati in terapia intensiva per coronavirus, 83 in più rispetto a ieri (+12,7%). La Lombardia, la regione nettamente più colpita, registra in un giorno 66 morti e 41 ricoverati in più in terapia intensiva. Reparti questi ultimi già da giorni ai limiti nella regione, il che ha richiesto il trasferimento finora di 17 pazienti – quasi tutti affetti da altre patologie – nelle regioni vicine. Il bilancio conta poi 724 guariti, ben 102 in più di ieri (+16,4%). Un segnale di incoraggiamento viene dal paziente uno, il manager di 38 anni di Codogno ricoverato a Pavia, trasferito dalla terapia intensiva a quella sub intensiva. Non è più intubato e respira autonomamente, ha riferito l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera. La moglie del giovane, incinta di 8 mesi, è tornata a casa da qualche giorno dopo essere stata ricoverata all’ospedale Sacco di Milano.

Un piccolo, grande punto segnato dalla sanità di una regione sferzata dal coronavirus, i cui sanitari affrontano l’impatto più duro dell’emergenza. I positivi in Lombardia sono in tutto 5.469, ben 1.280 più di ieri. Le vittime in tutta la regione sono già 333. Cifre che raccontano di un sistema che rischia il collasso e al quale la Protezione civile sta cercando di far affluire buona parte delle attrezzature sanitarie acquisite: respiratori per le terapie intensive e mascherine in primis. Mentre le regioni del nord lottano contro il dilagare del virus, c’è chi cerca di sfruttare il momento per fare affari. Il ministro Boccia denuncia «inaccettabili operazioni di marketing” per attirare nelle località sciistiche i ragazzi che non possono andare a scuola per la chiusura degli istituti. Il caso registrato sull’Abetone in Toscana ha spinto il governo a chiudere tutti gli impianti sciistici del Paese con un’ordinanza di Protezione civile. «L’assunzione di responsabilità delle famiglie e dei singoli è il primo impegno che deve essere mantenuto – dice Boccia -. Quando non c’è interviene lo Stato con tutta la sua forza».

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