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C’è una fragilità italiana che si chiama Lombardia. C’è una fragilità europea che si chiama Germania. Non saltate sulla sedia, per piacere. Non è uno scherzo anche perché nessuno ha voglia di scherzare con la Terza Grande Crisi globale alle porte e i ministri del G7 che si dichiarano pronti a intervenire e a fare tutto il possibile. Il modo più trasparente per certificare la preoccupazione mondiale.

Unire il Paese in casa significa dire la verità. Non è ammissibile che la Regione Lombardia che è nettamente la regione italiana più finanziata dalla spesa pubblica nazionale abbia ceduto oltre il 50% di interi settori delle sue attività a soggetti privati. Non è ammissibile che una Regione che può contare ogni anno su 19 miliardi di soldi pubblici, il triplo di quanto riceve la Puglia, ha 861 posti letto di terapia intensiva su un totale di 37.291 e privilegi in tutto e per tutto gli ospedali privati. Per la semplice esclusiva ragione che nel DNA di siderurgici, petrolieri, editori e chi più ne ha più ne metta improvvisatisi operatori della sanità, non ci sono la cultura ospedaliera pubblica e la consapevolezza del valore della prevenzione sui territori, della sicurezza e della igiene pubblica.

Questo tema andrà sviscerato tra qualche mese perché non si possono chiudere ospedali pubblici in altre regioni e ridimensionare il peso di quelli presenti in Lombardia azzerando la prevenzione per finanziare chi privilegia il margine di contribuzione degli interventi (ancorché eccellenti) senza mai restituire niente. Oggi, però, non può essere ipocritamente sottaciuto. Perché bisogna averne piena, totale consapevolezza in questi giorni terribili in quanto il potere di comando da oggi, non da domani, deve essere assolutamente centralizzato. Affinché si eviti che una macchina amministrativo-politica abituata a fare altro continui a mortificare una delle migliori classi mediche europee e esponga l’economia italiana a una quarantena mondiale affiancando il Giappone, dopo la Cina, nella quota di massimo rischio-Paese all’interno della nuova Grande Crisi Globale.

Unire l’Europa oggi non è un tema di domani e di dopodomani, ma di ieri. Non è ammissibile che la Germania e la sua corona di Paesi del Nord esitino ancora nella definizione di un piano straordinario di interventi sanitari e, soprattutto, economici aprendo il cantiere europeo degli investimenti pubblici agendo di concerto con la Banca Centrale Europea, alla luce del sole, perché la liquidità venga aumentata e trasferita interamente alla spesa pubblica dei governi e a quella delle imprese in modo da alimentare subito decine e decine di miliardi di investimenti pubblici e privati. Oggi l’Europa paga la fragilità di una Germania che non ha saputo tenere il passo tecnologico americano e cinese (condannando la sua appendice meridionale di sub-fornitori lombardi) e ha scaricato sulla intera comunità europea dieci anni di ingiustificabili surplus commerciali. Questa, non altre, è la realtà. La grande paura e l’ansia si combattono con una guida consapevole. Non si fraziona il potere comando.


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