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Qualcuno, a mio avviso in modo eccessivamente enfatico, ha colto l’occasione della tragedia del Coronavirus per contrapporre ancora una volta Nord e Sud d’Italia e speculare sulle differenze esistenti. Ho grande rispetto delle opinioni altrui con le quali amo confrontarmi e, nel caso, riconoscere anche gli eventuali miei torti. Stavolta, però, sento forte il dovere di intervenire in questa vicenda che contiene elementi di razzismo di ritorno e di ingiustificati pregiudizi. La premessa è nella qualità e nella quantità del virus. Esso viene da lontano, dalla Cina, e si sta diffondendo rapidamente in tutti gli Stati del mondo, tra cui l’Italia. Qui, al nord, come al Sud. Nelle regioni settentrionali, a dire il vero, l’impatto del virus è stato drammatico. Gli approfondimenti sulle ragioni per cui Verona, Milano, Venezia, e le loro periferie sono state maggiormente penalizzate diranno da quali circostanze dipendono le cause della maggiore diffusione. Di certo non consumo le mani per inneggiare alla differenza nel numero dei colpiti, sia che essi siano in Cina, a Cuba, a Tenerife, a Milano o a Napoli. Sento, invece, in cuor mio, di esprimere la più convinta solidarietà alle comunità che stanno affrontando duramente la drammatica realtà. Lo dico da meridionale che, in tempi diversi da quelli attuali, ha sempre ritenuto che la sanità delle regioni settentrionali fosse di grande eccellenza. Faccio riferimento segnatamente ai cosiddetti “viaggi della speranza”, ai tempi che riguardano le liste di attesa, alla qualità dei servizi prestati, ecc. Se oggi di fronte ad una tragedia epocale e globale, come quella che stiamo vivendo, dovessi cogliere l’occasione per cambiare opinione, tradirei le ragioni per cui da più di quasi mezzo secolo mi batto per l’unità d’Italia, senza mai dimenticare i torti che il Mezzogiorno ha subito.
E’ qui il punto, al di là del sensazionalismo che accompagna le attuali vicende. La disparità tra Nord e Sud è soprattutto causa del ruolo svolto dalla classe dirigente meridionale. Su cui, a dire il vero, l’analisi recente del meridionalista ministro del Sud, Provenzano, non fa sconti. Egli, che con il premier Conte, primo fra tutti, ha voluto il cosiddetto Piano Sud ha chiarito, in più occasioni, che questo strumento ha un preciso obiettivo: unire le difficoltà dell’intero Paese e superarle in un processo unitario. Detto in soldoni: un Piano per l’Italia. Non si è sempre detto, da decenni, che senza il motore del Sud l’intero Paese non avanza? Nella modernità del pensiero di Provenzano c’è, quindi, la sfida alla vecchia politica meridionalista fatta di lamentele, di denunce per torti subiti, di scippi non tutelati, né difesi, da parte di una classe dirigente dimostratasi incapace di fare proposte sul come uscire dalla crisi. O che, forse, le va bene quel reddito di cittadinanza che più che creare sviluppo e occupazione, consente a chi ha un lavoro di lasciarlo per sentirsi assistito, semmai facendo contrabbando o dando maggiore impulso alla piaga del lavoro nero? E’ sacrosanta la denuncia, lo svelare ciò che non va e che per anni ha consentito anche l’isolamento culturale del Mezzogiorno. E’ dovere politico e morale, però, saper proporre concretamente il metodo e le strategie per il superamento delle diseguaglianze. Si può fare, si deve fare. Esercitando due funzioni essenziali della vita democratica: partecipazione e controllo. Di questi valori si sono perse le tracce. Nel primo caso, la partecipazione, da anni è latitante quando si discute di Mezzogiorno anche nelle aule parlamentari. I banchi vuoti sono una condanna per coloro che avendo ricevuto il mandato di rappresentanza dal popolo meridionale non lo esercitano come sarebbe moralmente doveroso. Il secondo valore, invece, fa riferimento al controllo democratico dell’uso delle risorse. Che cosa accade nel Mezzogiorno oggi? Molto spesso il connubio politica-criminalità, l’espandersi dei sistemi corruttivi, il tintinnare quotidiano delle manette ai polsi degli appartenenti ai clan, non consentono la piena utilizzazione delle risorse finanziate per sviluppo, occupazione e infrastrutture. E in questa malversazione entrano anche le risorse europee che sono sempre più preda dei furbi e degli speculatori. E’ così che, venendo meno partecipazione e controllo, che fanno capo alla responsabilità della classe dirigente, ogni buona intenzione di riscatto meridionale, in funzione dell’unità del Paese, finisce per liquefarsi. E’ bene dirlo con chiarezza: la velocità dei poteri criminali di correre laddove scorrono i fiumi di danaro è impareggiabile.
A proposito del Piano Sud, del quale ho già avuto modo di scrivere nelle scorse settimane, esso si è già posizionato nel libro dei sogni. L’attenzione riservatagli si è limitata, almeno fino ad ora, alla celebrazione della presentazione. Le classi dirigenti meridionali osservano, forse in attesa dei fatti, un sospettoso silenzio, mentre la comunità del malaffare ha già rivolto lo sguardo, come ho avuto modo di dire, agli affari che si possono consumare. A volte il silenzio è più colpevole delle suggestive narrazioni. Forse è bene, giusto e doveroso, ricominciare a definire con i fatti le strategie promesse dal governo.
Per concludere: non deve sembrare strano al lettore che il dato di partenza di questa riflessione, il coronavirus, si sia andato lentamente smarrendo. A pensarci bene, però, un dubbio sorge spontaneo: chi inneggia e ritaglia, nella grande tragedia del virus, lo spazio per creare le differenze forse, inconsapevolmente, lo fa per distrarre l’attenzione dai mali del Sud e colpevolizzare il nord, credendo di averlo colto in fallo. Se così è, non si tiene affatto conto che il coronavirus viaggia senza appartenenza e senza targa.
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