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di LEO AMATO Una forbice e un coltello per colpire a morte la sua preda, per spogliarla, e portarsi via un trofeo. Più un cacciavite per aprire una “finestra” tra le tavole di sostegno del tetto della chiesa della Santissima Trinità.
Sono tre gli strumenti utilizzati nel sottotetto. Resta soltanto da chiarire quando sia stata praticata la feritoia in corrispondenza del punto dov’è stato ritrovato il corpo d’Elisa, che per gli investigatori è servita a disperdere i miasmi della decomposizione. Un’operazione condotta «frettolosamente e senza metodo». Forse dall’assassino subito dopo aver commesso il fatto. Forse da un suo complice in un secondo momento.
È quanto emerge dalle quasi seicento pagine della relazione del consulente merceologico del gip di Salerno, Attilio Orio (le anticipazioni sul Quotidiano di sabato e domenica scorsi). L’assassino di Elisa si sarebbe accanito sul suo corpo con almeno due armi diverse.
Scrive il perito Eva Sacchi: «Sulla scena del crimine erano presenti almeno due tipologie differenti di armi: una forbice e una lama. L’insieme dei dati ottenuti dall’analisi dei danneggiamenti fanno supporre verosimilmente che la forbice fosse di medie dimensioni e la lama molto tagliente».
Più avanti si precisa che «tutti gli indumenti della porzione del corpo ad eccezione delle spalline hanno subito danneggiamenti da lama». I tagli vengono definiti «soluzioni di continuità» che sarebbero state realizzate «verosimilmente» con l’intenzione «di accedere al corpo della vittima dopo la morte».
«Il taglio di tutti i vestiti e lo spostamento di alcuni di questi – scrive ancora il perito – (operazioni svolte probabilmente anche rivoltando il corpo) necessitano che l’aggressore abbia continuato ad agire sul corpo stesso per un tempo relativamente lungo dopo la morte, o comunque dopo che la vittima non era più in grado di opporre qualsiasi resistenza»
Eva Sacchi dà una dettagliata descrizione delle diverse incisioni sugli abiti di Elisa. «Il reggiseno è stato tagliato lungo la porzione mediana che divide le due coppe, dal basso verso l’alto. Lo slip è stato tagliato verticalmente lungo il fianco destro. Il top è stato tagliato verticalmente dal fianco sinistro fino alla zona del decoltè, o viceversa. Il pantalone è stato tagliato dal bordo inferiore della gamba destra fino all’interno della tasca destra, arrivando quasi all’altezza dei passanti. Il pantalone è stato poi tagliato dall’alto verso il basso, posteriormente, a partire dal margine superiore fino a dietro la coscia destra. Verosimilmente quest’ultimo taglio è avvenuto per secondo».
Prosegue più avanti: «Sulla coppa sinistra del reggiseno è riconoscibile una soluzione di continuità attribuibile a una lama monotagliente. Sulla porzione posteriore del top sono riconoscibili da 4 a 8 soluzioni di continuità attribuibili all’azione di una lama. Sulla porzione anteriore della maglia sono presenti da due a sette soluzioni di continuità attribuibili alla azione di un mezzo tagliente, mentre nella porzione posteriore il numero di danneggiamenti non è definibile. La trama a maglia larga, la possibile coalescenza dei danneggiamenti e la possibilità di danneggiamenti secondari generati dalla lama non consentono di determinarne il numero esatto».
Al perito merceologo-palentologo il gip aveva chiesto di procedere ad accertamenti tecnici anche sulle travi rimosse in corrispondenza del giaciglio. Così prosegue la relazione a proposito dello strumento utilizzato, che sarebbe «un cacciavite spaccato di piccole dimensioni». «Il numero elevato delle tracce, la presenza anche in corrispondenza delle tavole su cui poggiano le tegole fanno pensare a operazioni condotte frettolosamente e senza metodo». Non una mano esperta, quindi, piuttosto un carpentiere improvvisato.
Dai sassolini (clasti in gergo tecnico) la perizia è in grado di restituire il fotogramma di uno degli ultimissimi momenti della vita della ragazza di Potenza, dimostrando che Elisa nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza ci arrivò viva, e che qui fu uccisa.
Scrive Eva Sacchi: «La posizione dei clasti profondamente inseriti nei solchi del tacco fanno presumere che tale collocazione possa essere stata raggiunta durante la normale locomozione, e fanno ritenere che essi avrebbero causato un sensibile fastidio nella normale deambulazione. Si ritiene quindi altrettanto probabile che l’inserimento del clasto nel tacco sia avvenuto nel sottotetto durante l’ultimo intervallo di vita della vittima». Una circostanza «poco o immediatamente precedente il momento del delitto».

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