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di BIAGIO TARASCO
MATERA – SE IN ALCUNE zone dell’Africa gli abitanti si alzano la mattina presto e percorrono diversi chilometri per procurarsi un po’ d’acqua utile alla loro sopravvivenza, a Matera c’è chi invece aspetta la notte per andare in cerca di una fontana dove riempire bidoni e bidoni di acqua che serviranno per approvvigionare il serbatoio della propria casa. Giuseppe Papapietro, 55 anni, una moglie casalinga e tre figli di 30, 26 e 22 anni, di cui il maggiore invalido al 100 per 100, da otto anni, dopo una giornata di lavoro come operaio, quasi ogni notte si mette in macchina con diverse taniche per assicurare l’acqua alla propria famiglia per il giorno dopo.
Non abita in aperta campagna, ma nella modernissima via Gravina, fra case dotate di tutti i servizi e comfort in abbondanza. Ma un gesto normale per tutti, come quello di aprire un rubinetto e vedere scorrere l’acqua occorrente ad una famiglia per le diverse esigenze, per Papapietro è diventato la conquista di un sogno.
Un sogno rincorso da otto anni affidandosi a lettere raccomandate, ricorsi e avvocati, che finora gli è costato circa settemila euro, senza che però la situazione sia cambiata. Sì, perché questa, oltre che una storia che sembra presa da una pellicola neorealista in bianco e nero del dopoguerra, è anche una storia di normale giustizia italiana, con i suoi tempi lunghi fra tribunali ed una burocrazia che appare lontana dal comprendere le più elementari ed impellenti esigenze umane. “Per quattordici anni – ha dichiarato Papapietro – a casa mia l’acqua è arrivata nei rubinetti regolarmente come in tutte le altre abitazioni. Si trattava della cosiddetta acqua di cantiere. In seguito, il Comune ha fatto i lavori per prolungare il tronco delle condutture e togliere l’acqua di cantiere.
Allora sono iniziate le sorprese. Quando a casa abbiamo aperto il rubinetto, l’acqua non usciva più”.
Papapietro si è rivolto quindi al proprietario della casa per chiedere spiegazioni.
Ma il colloquio, che non è approdato a nulla, si è spostato nelle aule dei tribunali, dove Papapietro era già impegnato per definire il reale diritto di proprietà dell’abitazione in cui vive. Una vicenda, l’abbiamo detto, di complicati atti giudiziari che, dopo avere scandagliato per anni codici e codicilli, sembrerebbe approdata ad una soluzione.
A Giuseppe Papapietro sarebbe stato riconosciuto il diritto di collegarsi alla rete idrica pubblica. Occorrono 150 metri di tubi più la manodopera, per una spesa complessiva di circa quattromila euro che lui è pronto a sborsare di tasca propria.
“Sarebbe – ha aggiunto Papapietro – davvero la fine di un incubo.
Non auguro a nessuno di andare quasi ogni notte, anche sotto la pioggia, la neve e con le temperature gelide, in giro per Matera a fare rifornimento di acqua.
L’ho fatto pure con la febbre addosso.
Oltre allo stress, questa vicenda sta costando alla mia famiglia anche un sacco dal punto di vista economico, visto che siamo costretti ad acquistare acqua minerale.
Ora, dopo che i tribunali si sono espressi, spero di ottenere l’autorizzazione per iniziare i lavori”. La giungla di burocrazia e diritto nella quale si è imbattuto Papapietro sembra quindi non essere ancora finita.
Intanto la sua famiglia continua a sognare l’accesso a un diritto primario, come quello dell’acqua, che parla il linguaggio della vita.
Per accedere al quale una famiglia materana si trova a percorrere da anni una strada più insidiosa di quelle che percorrono ogni giorno gli africani in cerca di acqua; una strada disseminata di parole, inchiostro, bolli e burocrazia.
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