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Il Parlamento Italiano

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Non è chiaro se la rappresentazione teatrale messa in piedi attorno alla vicenda della prescrizione sia da interpretare come un teatro dell’assurdo o come un teatro verità. Le reciproche sfide che ci si scambia fra le fila della maggioranza sembrerebbero da ultimatum: se non ci vogliono ci caccino; se vogliono andare fino in fondo si assumano le loro responsabilità. Il tema è, ovviamente, far cadere o meno il governo, cosa che nessuno sembrerebbe disposto a fare. Al tempo stesso nessuno è veramente intenzionato a mettere in atto un serio lavoro per salvarlo.

SPECULAZIONI E SOFISMI ARDITI

Per ora tutto si gioca sul filo delle tattiche parlamentari, con speculazioni e sofismi che definire arditi è dir poco. Al momento si fronteggiano due posizioni. Su un fronte PD, LeU e Conte che non vogliono darla vinta a Renzi, neppure se fra le righe si ammette che qualche ragione non gli manca. Dall’altro lato Italia Viva che dovendo dimostrare la sua presenza determinante non è disposta ad alcuna marcia indietro. Come se ne esce?

Il primo nodo da sciogliere è decidere la tattica parlamentare che gli uni e gli altri possono applicare. M5S, che sostanzialmente non è disposto a cedere con l’unica mossa ragionevole, cioè il blocco della norma per un certo periodo in attesa che si trovi una soluzione al problema, pretende una norma che almeno sembri salvare il principio di cui hanno fatto bandiera. La soluzione escogitata è un pastrocchio e per di più di fatto realizza in modo confuso il congelamento della norma Bonafede. Il problema è farla passare. Un decreto legge sarebbe tecnicamente improponibile: mancano i requisiti di necessità e urgenza e ci vuole la forma preventiva di Mattarella su un atto che verrebbe preso senza dibattito parlamentare. E poi ci sarebbe il rischio di brutte sorprese nel voto di conversione, specie al Senato.

Naturalmente la frase da bulli attribuita a vari esponenti della maggioranza, “se Italia Viva ci fa mancare i suoi voti, facciamo presto a trovare una trentina di senatori che li sostituiscano”, sarebbe meglio non fosse mai stata pronunciata: testimonia solo che ormai la politica è ridotta nella testa di molti al peggior trasformismo di galleggiamento. Rimaniamo su cose più serie. Si sta pensando, sembra, di inserire la nuova versione della prescrizione nel mille proroghe, che alla Camera passa e al Senato si blinda col voto di fiducia. Già il milleproroghe non è che sia un bell’esempio di limpida azione parlamentare (è da fine Ottocento che in questo paese ci si straccia le vesti sulle “leggi omnibus”), usarlo in extremis per una operazione del genere è davvero poco elegante (per non dire di peggio). Gli storici delle istituzioni in futuro si chiederanno come hanno fatto accademici delle varie branche del diritto che siedono in parlamento a lasciar corrompere così l’etica e la buona prassi parlamentare.

COME FAR PASSARE IL PASTROCCHIO

Comunque vada, l’approvazione del pastrocchio escogitato non risolverà il problema di una maggioranza che è sostanzialmente sinistrata. E qui si aprono nuovi problemi e nuove tattiche escogitate dagli strateghi parlamentari. La prima questione è se davvero esista la possibilità, come avrebbe ventilato Mattarella, di sciogliere le Camere se la maggioranza andasse sotto. Il problema tecnico è dato dalla finestra temporale. Bisogna attendere che sia espletato il referendum sul taglio dei parlamentari e poi che si ridisegnino i collegi. Problemino: sulla base dell’attuale Rosatellum o si fa in tempo a vararne una riforma? La seconda possibilità ci pare difficile a realizzarsi (per la verità ci pare anche difficile che comunque ci sia lo spazio per espletare tutte le procedure prima dell’estate), ma a spingere per essa sarebbe, secondo alcuni, l’opportunità di continuare ad avere la vecchia legge che ha uno sbarramento solo al 3% (ma che ha collegi uninominali molto difficili da conquistare da chi non dispone di accordi di coalizione).

Se invece si continua a pensare che sono tutte sceneggiate, perché alla fine di affrontare il rischio di un ritorno alle urne, tanto più con 345 posti in meno a disposizione, non ne vuol sapere nessuno fra le fila della maggioranza (e in parte anche fra quelle dell’opposizione), allora si pensa che si continuerà col governo torre di Pisa, quella che pende, che pende, ma mai non va giù.

FINO A QUANDO PUÒ DURARE?

La domanda inevitabile è se davvero sia possibile andare avanti così per un periodo lungo, che prima verifica con la tornata di elezioni regionali e locali di maggio-giugno. Aggiungiamoci che in questo lasso di tempo ci saranno decisioni da prendere: non solo quelle note su Autostrade, Ilva, e via dicendo, ma quelle che si presenteranno in uno scenario internazionale terremotato dalla crisi cinese, dalla Brexit, dalla contrazione dell’economia tedesca, e anche qui via elencando.

Sarà anche possibile nascondersi dietro la battuta di Andreotti secondo cui tirare a campare è meglio che tirare le cuoia, ma non scommetteremmo che sia la più lucida fra le prospettive su cui riflettere. Quando il meccanismo politico si riduce a tatticismo parlamentare esasperato ed a conflitto fra alfieri di improbabili bandierine, si rompe il rapporto sano con la società e si lascia spazio a quel populismo che non ha mai fatto la fortuna delle nazioni.

Costringere ad un chiarimento un quadro politico che sta perdendo la sua leggibilità presenta indubbiamente qualche rischio,ma sempre minore che lasciarlo deteriorare per astrusi calcoli di ricostruzioni basate su improbabili rinascite di questa o quella componente. Vale per tutti, opposizione inclusa.


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