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Poche ore prima del commissariamento della Banca Popolare di Bari, il maggiore istituto di credito del Sud, Marco e Gianluca Jacobini hanno cominciato a sentire puzza di bruciato e hanno cercato di mettere al sicuro le loro ricchezze. Il gip le chiama «condotte di occultamento dei profitti illeciti»: in sostanza trasferiscono dai loro conti correnti, cointestati alle rispettive mogli, somme per complessivi 5,6 milioni.
Il trasferimento avviene tra il 12 e il 13 dicembre scorsi, ma questa mossa disperata per evitare i sequestri, segnalata dai commissari, li tradirà: è infatti tra le motivazioni degli arresti fatti ieri dalla Finanza su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bari, Francesco Pellecchia.
Ai domiciliari sono finiti i due Jacobini, padre e figlio e dominus della Banca Popolare di Bari salvata dallo Stato, Elia Circelli, attuale responsabile della Funzione bilancio e amministrazione. Mentre per Vincenzo De Bustis Figarola, direttore generale della banca dal 2011 al 2015 e dal dicembre 2018 fino al commissariamento, il giudice ha ritenuto sufficiente l’interdizione a esercitare per 12 mesi l’attività di dirigente di istituti bancari e di uffici direttivi di imprese.
IL TESTIMONE DECISIVO
Nell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dai pm Federico Perrone Capano e Savina Toscani, sono nove in tutto gli indagati: c’è anche Luigi Jacobini, altro figlio di Marco Jacobini, vice direttore generale dell’istituto di credito. Contestualmente agli arresti, ieri mattina la guardia di finanza ha eseguito 17 perquisizioni a Bari, Roma, Milano e Bergamo.Agli indagati sono contestati, a vario titolo, i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza.
«Marco Jacobini governava la banca con lo sguardo» e continuava a farlo nonostante il commissariamento: a dirlo ai pm è un testimone decisivo, Benedetto Maggi (vice responsabile della Direzione crediti). Sarà lui lo scorso 17 dicembre, a commissariamento già in atto, a spiegare ai pm «l’attuale potere di fatto della famiglia Jacobini».
«Appare evidente – si legge negli atti – che la struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini. Appare pertanto necessario e urgente impedire che tale potere illecito impedisca il risanamento della Banca con i devastanti effetti sull’economia meridionale. In particolare il potere di fatto della struttura imprenditoriale impedirebbe l’emersione dei dati contabili necessari per identificare le cifra necessarie per il risanamento della banca».
LA MALAGESTIONE
Maggi ha spiegato che «i rapporti con il più grande cliente della banca» (il gruppo Fusillo, per il cui fallimento alcuni ex dirigenti della BpB sono indagati per bancarotta) «veniva gestito da Gianluca Jacobini privo dei poteri che lo legittimavano al contatto con il cliente».
E ancora: «Marco Jacobini, pur non avendone alcun titolo, partecipava al comitato crediti», le cui verbalizzazioni «erano falsificate per non far emergere la presenza della famiglia Jacobini non legittimata a essere presente».
L’inchiesta svela la presunta malagestione della banca e a fornire i dettagli di quanto accadeva nel più importante istituto di credito del Sud sono stati alcuni ex dipendenti e attuali manager. A cominciare dal leccese Luca Sabetta, ex Chief Risk Officer, vessato dagli Jacobini: è stato lui il primo a scoperchiare il vaso di Pandora.
La testimonianza di Sabetta – che è stato in grado di documentare, grazie a una serie di registrazioni clandestine durante i suoi incontri con De Bustis, i momenti chiave e le scelte della governance che hanno portato al crac, è decisiva, anche se non l’unica. In sostanza, Sabetta, che ricopriva un ruolo di primo piano nel Banco Popolare a Verona, viene indotto da De Bustis a licenziarsi con la promessa di diventare Chief Risk Officer (Cro della Popolare di Bari.
In realtà, secondo la ricostruzione degli inquirenti, in quel momento alla Popolare di Bari serve solamente un nome di prestigio per eludere i controlli di Bankitalia che chiedeva un potenziamento nel settore dei controlli interni. Ma la nomina di Sabetta «non veniva accompagnata dal conferimento effettivo delle funzioni, essendo stato il dottor Sabetta esautorato, in concreto, da qualsiasi potere decisionale e di controllo ed escluso da tutte le riunioni dei vertici». Non solo: «Dopo solo un mese dall’assunzione, il dottor Sabetta veniva trasferito presso una società controllata dalla Banca Popolare di Bari».
LE INTERCETTAZIONI
Vessato, ecco che Sabetta diventa il primo super testimone con una serie di denunce e interrogatori con i pm baresi. Ad esempio, racconta dei bilanci poco chiari.
La conferma arriva dalle intercettazioni: nella redazione dei documenti contabili e nelle comunicazioni alle autorità di vigilanza «siamo stati capaci con un cucchiaio di marmellata di farcire una scatola di fette biscottate». È un passaggio di una telefonata del maggio 2017 tra i due indagati Giuseppe Marella, responsabile dell’Internal Audit della BpB ed Elia Circelli. Nella conversazione Marella si riferirebbe, secondo l’accusa, al fatto che «la predisposizione dei documenti non risponda a criteri di veridicità e trasparenza, risultando perlopiù il frutto di aggiustamenti volti al raggiungimento di importi prefissati». Nella stessa conversazione Marella parla di «numeri che sono sbalorditivi, mostruosi, io mi vergogno di questo lavoro». Il giudice, nel motivare gli arresti, descrive così gli Jacobini: hanno una «preoccupante serialità» e una «notevole capacità di programmazione» dei reati, nonché una «spregiudicata aggressione» nei confronti di un «bene supremo» come il patrimonio dei correntisti e della banca.
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