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La Regione Lombardia può permettersi di impegnare, solamente nel 2019, 420 milioni per garantire il diritto allo studio dei suoi giovani, il Piemonte 97 milioni. La Puglia, invece – sfavorita da minori trasferimenti statali e da una ripartizione iniqua del fondo nazionale, basato ancora sulla spesa storica – per le sue scuole non può andare oltre 32 milioni, la Campania non va oltre gli 85.
L’istruzione non è certo la “magna pars” dei bilanci regionali (la sanità la fa sempre da padrone), ma è comunque un servizio essenziale e segnala, ancora una volta, un importante gap tra Nord e Sud. Se la quota pugliese per l’istruzione è di 32 milioni, quella dell’Emilia Romagna è quasi il doppio: 60 milioni. Risultato? Al Sud si riescono a finanziare meno aiuti alle famiglie e si devono fare i conti con un personale numericamente inadeguato. Nemmeno il tempo pieno è possibile garantire nel Mezzogiorno, non almeno agli stessi livelli del Nord.
IL TEMPO PIENO
Il tempo pieno nella scuola primaria italiana (ex elementare) esiste, ma praticamente quasi solo al Nord. Nel Mezzogiorno la fascia di bambini tra i 6 e gli 11 anni che può usufruire delle 40 ore settimanali è davvero residuale e le differenze rispetto a quanto avviene a Torino, Milano o Padova sono abissali. Fatta eccezione per il Lazio, che con il 58,4% di classi a tempo pieno è la prima regione in Italia, nei primi sei posti della classifica ci sono solo Regioni settentrionali: in Piemonte nel 57% delle classi c’è il tempo pieno, in Toscana la percentuale è del 55,6%, in Lombardia del 54%, seguono Emilia Romagna (53,1%) e Liguria (51%). Il distacco rispetto al Sud è ampissimo e incostituzionale: in Calabria solo nel 28,5% delle classi sono garantite le 40 ore settimanali, ma la situazione è addirittura peggiore in Campania (22,3%), Puglia (appena il 18,7%), Molise (12%) e Sicilia (11,6%).
IL GAP
Numeri e statistiche ufficiali, elaborate dal ministero dell’Istruzione, davvero impietose. Dati che dicono che, alla fine dei cinque anni di elementari, è come se gli alunni del Nord fossero rimasti in classe un anno in più. Gli orari, infatti, si sviluppano da un minimo di 24 ore settimanali sino a un massimo di 30, anche se la media è di 27 ore. Il 33,6% delle classi elementari italiane, infatti, svolge 27 ore di lezione a settimana. Solo, però, quando si arriva alle 40 ore settimanali si può veramente parlare di tempo pieno. Facendo la media, nelle regioni del Nord, complessivamente, vengono garantite 38 ore settimanali; al Sud si scende a 30 ore. La differenza nell’orario settimanale, moltiplicata per i cinque anni scolastici, porta quasi a un anno di divario in favore delle regioni del Nord. La questione tempo pieno a scuola è una di quelle che spacca perfettamente in due l’Italia e le cause vanno rintracciate nelle risorse, e lo sa bene il ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, che ha promesso di portare il tempo pieno anche al Sud.
Per realizzare davvero questo annuncio sarà necessario, innanzitutto, andare a ritoccare gli organici: per tenere le scuole aperte 40 ore a settimana occorre assumere al Sud più insegnanti. L’attuale normativa italiana, secondo quando definito dall’articolo 4, comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n° 89 del 2009, prevede che la Scuola primaria (6-11 anni) possa essere organizzata secondo diversi modelli: il modello dell’insegnante unico, con 24 ore settimanali di attività didattica; mentre per il cosiddetto “tempo pieno”, caratterizzato da 40 ore settimanali di attività scolastiche, l’insegnamento è svolto principalmente da due docenti che si alternano nella presenza in classe, ma alcune attività, come l’insegnamento di una lingua straniera, possono essere svolte da insegnanti con specifica qualifica. Quindi, occorrono più maestri.
MENO DOCENTI
Che ci siano meno docenti e meno risorse al Sud è un dato di fatto: nelle scuole del Nord ogni professore, mediamente, insegna a 10 studenti; al Sud, invece per ogni docente ci sono 13,5 alunni. Nel Mezzogiorno le scuole pubbliche – di ogni grado e livello – sono 2.528, il personale docente è pari a 231.051 unità: in sostanza, in ogni istituto scolastico, mediamente sono impiegati 91 insegnanti. Al Nord, invece, le scuole sono 3.266 e i professori 356.100: risultato, in ogni istituto lavorano circa 109 docenti.
Non solo: le classi sono più sovraffollate in Puglia, Campania e Calabria rispetto a Piemonte, Lombardia o Liguria. Infatti, mentre al Nord per 3.646.003 alunni iscritti ci sono 200.828 classi (poco più di 18 studenti per classe), al Sud per i 3.121.930 ragazzi ci sono 112.214 classi (il rapporto è di 27,8 alunni per classe). Nel Mezzogiorno, quindi, ogni docente deve seguire contemporaneamente circa 10 studenti in più rispetto a una classe media del Nord.
IL PERSONALE
Persino sul personale non docente, il cosiddetto personale Ata, ci sono significative differenze: nelle scuole del Nord sono impiegate 87.746 persone, al Sud 54.832. Questo significa che al Sud per ogni dipendente ci sono 57 studenti, al Nord il rapporto è di uno per 41 alunni. Pure sui professori con contratto a tempo indeterminato bisognerebbe aprire una riflessione: rispetto al totale nazionale, il 39,4% dei docenti con una cattedra “fissa” lavora nelle scuole delle Regioni del Nord, mentre al Sud la fetta è solo del 28,6%. In soldoni, nel Mezzogiorno ci sono più precari. Gli istituti scolastici del Mezzogiorno sono sempre più in difficoltà.
I FONDI CONTRO LA DISPERSIONE
Infine, sui fondi contro la dispersione scolastica si consuma l’ultimo scippo ai danni del Mezzogiorno: l’emergenza è più grave al Sud, ma al Nord vanno più soldi. L’abbandono degli studi è un fenomeno più dilagante al Sud, come confermano i dati del ministero dell’Istruzione. Eppure, nel riparto delle risorse destinate dallo Stato per incentivare “progetti in aree a rischio, a forte processo migratorio e contro la dispersione scolastica” sono le Regioni del Nord a incassare più soldi. Non solo: mentre i fondi destinati a Lombardia, Veneto, Friuli, Piemonte raddoppiano o, comunque, lievitano nel 2017 rispetto all’anno prima, il Mezzogiorno vede decurtarsi i trasferimenti. L’ennesimo “scippo” emerge dal rapporto della Corte dei conti intitolato “La lotta alla dispersione scolastica: risorse e azioni intraprese per contrastare il fenomeno”: nel 2017 c’è stato un incremento complessivo delle risorse rispetto all’anno prima: si passa da 18,4 milioni a 23,8 milioni. A fare, però, la parte del leone è ancora una volta il Nord.
LO SCIPPO
Ecco qualche esempio: il Piemonte passa da 928mila euro a 1,5 milioni; la Lombardia da 2,19 milioni a 3,6 milioni; il Veneto da 1,1 a 1,8 milioni; il Friuli da 263 a 417mila euro; la Liguria da 339 a 692mila euro; Emilia Romagna da 1 a 1,6 milioni; la Toscana da 700mila euro a 1,7 milioni. E il Sud? La Puglia, che nel 2016 si vedeva assegnare 1,8 milioni, nel 2017 si è dovuta accontentare di 1,4 milioni, 400mila euro in meno; la Campania è passata da 3,1 a 2,6 milioni; la Basilicata da 341 a 183mila euro; la Calabria da 1,1 milioni a 973mila euro; il Molise da 119mila euro ad appena 73mila. Il fondo nazionale viene utilizzato, ad esempio, per realizzare progetti sia in orario curricolare, sia in orario extracurricolare.
«II fenomeno dell’abbandono è in calo, ma resta il divario fra Nord e Sud» si legge nell’ultimo report pubblicato dal Miur. E in effetti nel 2016, complessivamente, 14.258 studenti, pari allo 0,8% di coloro che hanno frequentato la scuola secondaria di I grado, hanno abbandonato gli studi durante l’anno o nel passaggio fra un anno e l’altro. Al Sud la propensione all’abbandono è stata maggiore, con 1,1%, mentre a Nord la percentuale è stata più contenuta, con lo 0,6%.
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