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NAPOLI – «Il Ministero intervenga e salvi il
modello San Giuseppiello». E’ l’appello lanciato dal senatore
Vincenzo D’Anna, presidente dell’Ordine nazionale dei Biologi,
al ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ma anche al governatore
campano Vincenzo De Luca affinché «monitorino lo ‘stato
dell’artè del frutteto di Giugliano in Campania strappato alla
camorra» nel 2005 e, successivamente, «sottoposto ad un
innovativo progetto di disinquinamento ‘green’ affidato ad un
gruppo di studiosi della facoltà di Agraria dell’università di
Napoli, coordinato dal prof. Massimo Fagnano».
«Lì, in piena terra dei fuochi – spiega D’Anna – su sei
ettari di pesche e ciliegi contaminati da sostanze tossiche, a
partire dal 2015 è stata attivata un’opera di bonifica
rivoluzionaria: gli alberi da frutto sono stati sostituiti dai
pioppi (20mila), le cui radici stanno assorbendo i metalli
pesanti presenti nel sottosuolo. Inoltre, è stato sparso compost
arricchito con batteri capaci di metabolizzare gli idrocarburi».
Il tutto, precisa l’ex parlamentare «al costo di ‘solì
900mila euro, di gran lunga inferiore rispetto agli usuali
interventi che prevedono la movimentazione del terreno
avvelenato». Insomma, è il pensiero del presidente dei Biologi:
“ci troviamo di fronte ad un vero e proprio miracolo in termini
di ecosostenibilità». Eppure, sottolinea D’Anna «il Ministero
non ha ancora individuato né il successore del Commissario alle
bonifiche (nel frattempo andato in pensione), né un organismo a
cui affidare quel bene confiscato ai clan. Peggio ancora: è
iniziata la devastazione di uffici e apparecchiature. Insomma,
tutto sta andando in rovina ed una sperimentazione virtuosa, che
avrebbe potuto essere replicata nelle mille terre avvelenate
d’Italia, rischia di sparire per sempre». Da qui l’appello
indirizzato al ministro Costa ma «anche a tutti quelli che hanno
a cuore l’ambiente”: occorre «attivarsi per cancellare questa
macchia vergognosa». E poi al presidente De Luca, perché «la
Regione vigili, in maniera concreta, sulle nostre ‘terre dei
fuochì agendo, laddove occorre, direttamente sulle popolazioni
delle enclavi a rischio, con studi epidemiologici mirati». In
fondo, conclude D’Anna «basta un semplice esame mineralometrico
del capello per capire di cosa ci siamo avvelenati».
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