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di LUIGI LOMBARDI SATRIANI
Il diciottesimo anniversario della strage di via d’Amelio, che massacrò Paolo Borsellino e la sua scorta, è stato solennemente commemorato da Autorità e da altri rappresentanti delle istituzioni. A parte le severe parole del capo dello Stato, che rappresenta sempre più nettamente la riconosciuta guida orale del Paese, le dichiarazioni dei politici sono state accolte da contestazioni (quella delle “Agende rosse”) o, più silenziosamente ma inesorabilmente, dal rassegnato scetticismo dei cittadini, abituati ormai a vedere come gli stessi corrucciati retori che si scagliano ufficialmente contro la malavita e il malaffare, nei fatti si mostrano estremamente tolleranti, quando non complici, con qualificati esponenti di tale malavita, di tale malaffare. Emblematica la squallida vicenda della P3 nella quale tramavano numerosi faccendieri, uomini di governo, magistrati (qualcuno di loro era stato oggetto della mia attenzione in quanto autore della relazione sulla camorra della Commissione antimafia della XIII legislatura, ormai atto ufficiale del Parlamento, anche se debbo ricordare che l’unico provvedimento nei confronti di questo discusso magistrato fu la sua promozione). Ancora una volta questo governo del Fare si conferma come prevalentemente impegnato nel Dire. Menzogne ripetute ossessivamente sino a ritenerle verità acquisite (e questo effetto perverso si realizza effettivamente grazie al regime mediatico), autocertificazione dei governanti di aver realizzato ormai la maggior parte degli impegni presi nelle campagne elettorali, esaltazione di se stesso da parte del neo Uomo della Provvidenza, che evidentemente non pago del paragone, sempre su sua dichiarazione, con De Gasperi e don Sturzo, ha ritenuto che fosse maturo il tempo per una scalata all’Eterno e si è impegnato pertanto, in maniera patetica, in un processo di deificazione. Del resto, perché non farlo se viene omaggiato con premi ed espressioni iperboliche (vedi il premio della provincia di Milano con le motivazioni altisonanti del suo presidente Guido Podestà), mentre da tempo è stata avviata da un parlamentare, guarda caso dell’attuale maggioranza, la proposta dell’assegnazione del Nobel per la pace al il “nostro” statista. Evidentemente il servilismo dei cortigiani è non meno infinito delle vie del Signore. L’anniversario della strage di via d’Amelio è stato commemorato anche dalla mafia che ha buttato giù, distruggendolo parzialmente, il monumento che la Città di Palermo aveva eretto a Paolo Borsellino e a Giovanni Falcone, veri eroi, anche se Dell’Utri assume con impudenza quale eroe lo stalliere di Arcore. Anche qui occorre essere tolleranti e pluralisti: ognuno sceglie i propri eroi a seconda del proprio stile di vita e dei propri ideali, come spesso vengono denominati i propri interessi. Dato il valore altamente simbolico dell’attentato al monumento, esso ha suscitato un coro, forse un po’ troppo unanime, di condanne. Per isolare l’esecrato gesto lo si è presentato come azione irresponsabile di qualche testa calda, non rappresentativo di una Sicilia che resta sostanzialmente quella degli onesti. Lo stesso è avvenuto per gesti criminali della ‘ndrangheta ai quali è stata contrapposta la Calabria degli onesti e, in maniera non dissimile, di fronte all’Italia delle trame, degli scandali e dei veleni è stata eretta l’Italia degli onesti. Sembrerebbe un esercizio, tra innocenza e superficialità, di generica e un po’ insulsa retorica. Oggi però non ci possiamo consentire innocenza o superficialità, ché i mali stanno erodendo il nostro tessuto socio-culturale, devastandolo. In effetti sono siciliani Borsellino, Falcone, Chinnici, come lo sono coloro che hanno fatto a pezzi le loro statue; sono siciliani Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ignazio Buttitta, come lo sono Dell’Utri, Cuffaro e Totò Riina; sono calabresi il giudice Scopelliti, Corrado Alvaro, Fortunato Seminara, Mariano Meligrana, e sono calabresi gli autori della strage di Razzà e della strage di Duisburg; sono italiani Rita Levi Montalcini, Giorgio Napolitano e Andrea Camilleri e sono italiani Scaiola, Brancher, Cosentino, Caliendo e i variegati componenti delle squallide consorterie della P3 e più in generale dalla Cricca. Si tratta di una realtà radicalmente doppia quella nella quale ci è dato vivere. Non accorgersene è fonte di errori e ha gravi conseguenze. Coesistere con due ordini così diversi e contrapposti non incide sull’amore che possiamo nutrire per la nostra terra, semmai lo rende amaro e disperato. Lo ha notato Corrado Alvaro soffermandosi sul desiderio del calabrese di fuggire dalla sua terra; lo ha sottolineato, parlando del sentimento che lega al proprio territorio, Andrea Di Consoli, scrivendo nel suo recentissimo bel libro, La commorienza. La misteriosa morte dei fidanzatini di Policoro (Venezia, Marsilio, 2010) “(.) e devo convincermi che quest’amore che sento per la mia terra non riguarda nessuno, e che sono totalmente solo in questo atroce amore per una terra che non mi stanco di amare e poi di odiare. L’ho girata paese per paese, la Lucania, abita nei miei sogni, nelle cose che scrivo e nel mio corpo massiccio e fragile”. Ma prima che conoscenza letteraria questo insieme inestricabile di attrazione-avversione lo sperimento direttamente; esso è un tratto costante della mia vicenda esistenziale. Gli amori non si scelgono, si patiscono, si ama non per, ma nonostante . E allora dinanzi a tanto sfacelo, a tanta realtà mandata in frantumi, come le statue di Borsellino e Falcone a Palermo, cosa possiamo fare per tornare ad avvertire quel profumo della bellezza di cui ha parlato in maniera struggente Paolo Borsellino? Ce lo suggerisce il Calvino de Le città invisibili: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Operazione difficile, ma indifferibile.

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