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CATANZARO – L’operazione Rinascita Scott (LEGGI LA NOTIZIA) ha consentito di ricostruire gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area Vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le strutture territoriali (locali/ ‘ndrine) godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi.
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L’inchiesta ha permesso di documentare l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita. I clan avrebbero sviluppato dialettiche sulle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali. È stato possibile ricostruire anche l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini con le copiate.
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Dall’indagine è emersa anche l’operatività di una struttura provinciale, il crimine della provincia di Vibo Valentia, con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il crimine di Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
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A capo della struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca “Mancuso”, quali Giuseppe Mancuso (cl.1949), Pantaleone Mancuso (cl.1961) e, da ultimo, Luigi Mancuso (cl. 1954), che proprio in questo ruolo di vertice ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie.
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E’ stato possibile censire l’esistenza di diversi “locali” di ‘ndrangheta, quali la locale di Limbadi, con a capo Luigi Mancuso che, anche durante la sua detenzione, impartiva le disposizioni o comminava agli altri sodali le sanzioni, curava i rapporti con le altre articolazioni vibonesi. I principali collaboratori di Mancuso sono stati individuati in Pasquale Gallone, Giovanni Giamborino e nella coppia Gaetano Molino e GianFranco Ferrante.
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La locale di Vibo Valentia città riunisce le ‘ndrine dei “Lo Bianco-Barba”, che ha tra i suoi elementi apicali Paolino Lo Bianco, Filippo Catania, Antonio Lo Bianco, Vincenzo Barba e Raffaele Franzé, inseriti nella società maggiore di Vibo Valentia. Gli ultimi due fungevano anche da contabili della ‘ndrina.
La locale “Camillò-Pardea Ranisi” opera, invece, nei quartieri cittadini di Cancello Rosso e di San Leoluca, capeggiata fino al maggio 2016 da Andrea Mantella, poi divenuto collaboratore di giustizia. Altro locale “Pugliese Cassarola”, al cui vertice è risultato Rosario Pugliese detto Saro. La locale di Filandari e Ionadi, capeggiata da Leone e Giuseppe Soriano, dell’omonima cosca. Il locale di Mileto, sotto l’egida della cosca “Pititto-Prostamo-Iannello-Mesiano”. Un suo componente, Giuseppe Mangone, curava il collegamento con la locale di Limbadi e si occupava della compravendita e gestione di terreni.
La locale di Piscopio di Vibo Valentia, diretta da Salvatore Giuseppe Galati che annovererebbe tra gli affiliati anche l’esponente politico Pietro Giamborino, che avrebbe anche mantenuto i rapporti con membri di altre articolazioni della ‘ndrangheta (segnatamente i “Fiaré”, i “Razionale” ed i “Gasparro”) e curato le relazioni con settori della pubblica amministrazione e delle professioni per la risoluzione dei problemi dell’organizzazione. La locale di San Gregorio d’Ippona, guidata dalle cosche “Fiaré-Razionale-Gasparro”. Elementi apicali sono risultati Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, il primo anche con compiti di gestione economico-finanziaria della struttura. Saverio Razionale è anche ritenuto componente del crimine dell’intera area vibonese, in stretto rapporto con esponenti di primo piano di altre articolazioni della ‘ndrangheta, compresi Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accorinti, nonché con colletti bianchi, quale l’avvocato Giancarlo Pittelli, massone ed ex-parlamentare. La locale di Stefanaconi, capeggiata da Salvatore Patania, elemento dell’omonima cosca, in rapporti stabili con i “Lo Bianco-Barba” di Vibo Valentia.
La locale di Sant’Onofrio, diretta dal capo società Pasquale Bonavota, coadiuvato da Domenico e Nicola Bonavota, nonché da Domenico Cugliari. Le indagini hanno anche documentato un summit, avvenuto nel maggio 2017, finalizzato a ricomporre pregressi dissidi tra i Bonavota ed i Mancuso, con conseguente riavvicinamento alla società di Sant’Onofrio al crimine vibonese. In tale circostanza, gli affiliati hanno discusso anche sulle doti e sulle cariche e sulle procedure di formalizzazione di una locale.
Nella sfera d’influenza santonofriese sono state ricondotte anche la ‘ndrina di Pizzo e quella di Filogaso e Maierato, diretta da Salvatore Francesco Mazzotta che tra l’altro gestiva, anche direttamente, le attività imprenditoriali d’interesse, intestate a prestanome e manteneva rapporti con l’amministrazione comunale di Pizzo, convogliando i pacchetti di voti sui candidati vicini alla ‘ndrina.
La locale di Zungri, sotto l’influenza delle cosche “Accorinti-Barbieri-Bonavena” e diretta da Giuseppe Antonio Accorinti, esponente apicale anche a livello provinciale. Subordinate all’articolazione zungrese sono risultate le ‘ndrine di Briatico Cessaniti e Vibo Marina. La ‘ndrina di Tropea, attiva anche a Ricadi, dove è stato accertato il ruolo di co-dirigenza esercitato da Antonio La Rosa e Francesco La Rosa in costante collegamento con la consorteria dei Mancuso di Limbadi.
In merito alla cosca Mancuso, oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi, è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extraprovinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i De Stefano di Reggio Calabria e i Piromalli di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di cosa nostra, databili all’epoca pre-stragista.
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