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di LEO AMATO
POTENZA – Omicidio colposo. Giuseppe Gianfredi e Giuseppe Labella, di 29 e 33 anni, sono stati rinviati a giudizio ieri mattina dal giudice dell’udienza preliminare Luigi Spina, che ha accolto la richiesta del pm Sergio Marotta. Sono accusati della morte dell’amico Luca Ruggiero, di 28 anni, nell’incendio divampato la notte del 7 dicembre del 2008 in un prefabbricato di Bucaletto.
Stando al racconto di Labella i tre avevano fatto uso di alcol e sostanze stupefacenti, per questo la Procura gli contesta il reato di spaccio, mentre a causare le fiammate che avrebbero avvolto in pochi minuti quella casetta di legno sarebbe stata la combustione di alcuni panni sistemati su uno stendino troppo vicino alla stufa posta che era al centro del soggiorno, e questa è la ragione per cui Gianfredi, figlio dell’assegnatario del prefabbricato, è accusato anche di incendio colposo.
L’allarme era scattato intorno alle 3 del mattino da parte dei vicini spaventati da quanto stava accadendo.
Arrivati sul posto i Vigili del Fuoco avevano trovato i due giovani in mezzo alla strada, “sconvolti” al punto di dimenticare che lì dentro era rimasto un altro amico.
Spente le fiamme sarebbe stato l’assegnatario del prefabbricato, padre di uno dei due, a ritrovare il corpo mentre controllava i danni e cercava di recuperare quanto possibile.
Sarebbe stato coperto da alcuni mobili, supino con i piedi rivolti in direzione opposta a quella della porta principale, unica via di salvezza.
Polizia e magistrato di turno, il pm Francesco Basentini, a quel punto sarebbero accorsi per interrogare e raccogliere testimonianze. Prelevati i due amici per ore non sarebbero stati in grado di fornire una lucida ricostruzione di quello che era successo.
Luca Ruggiero sarebbe morto di asfissia ed è probabile che fosse già svenuto quando il suo cuore ha smesso di battere. Di fatto non tutto il corpo era coperto di ustioni, quindi la morte dev’essere sopraggiunta prima.
A Bucaletto lo conoscevano tutti perché era il posto dov’era cresciuto anche se nel quartiere non viveva più da tempo, dopo che i suoi si erano trasferiti nelle palazzine di via Messina. Ma lì tornava spesso dopo il lavoro, per quattro chiacchiere e una sigaretta in compagnia degli amici di sempre.

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