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Chiudete gli occhi per un attimo. Tornate indietro nel tempo fino al 1988, trentun anni fa. In Italia imperava ancora la Democrazia cristiana, presidente del Consiglio era tal Ciriaco De Mita, alla guida di un pentapartito Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli, sigle che ormai quasi nessuno ricorda più.
A Vicenza lo scudocrociato governava senza rivali ed era l’epoca in cui la politica disegnava collaborazioni con i privati per la gestione dell’economia. Che poi si trattasse di carrozzoni, poltronifici o contenitori vuoti a fini speculativi, poco importa. Mani Pulite era di là da venire e gli intrecci della politica non temevano ancora scossoni.
OBIETTIVO OSCURO
È così, nel mondo dei dorotei, che nasceva la società per azioni Cis, alias Centro Interscambio Merci e Servizi, che fa parte del lungo elenco degli enti in carico allo Stato in via di liquidazione, ma di cui nessuno riesce a liberarsi.
Obiettivo del Cis? «Lo studio, la promozione, il coordinamento, la realizzazione e la gestione di tutte le attività inerenti ad un centro merci ed al sistema doganale, nonché di tutte le infrastrutture ed i servizi ad essi comunque connessi in provincia di Vicenza».
La dizione, fumosa, era già un programma.
La composizione? Ai privati il 43,2 %, agli enti pubblici il 56,8%. Per la precisione: Autostrada Brescia-Padova 25,2%, Provincia di Vicenza 23,5%, Camera di Commercio 20%, Comune di Vicenza 8,4%, Banca Popolare di Vicenza 7,9%, e Fiera 7,7%. Poi tanti Comuni, con percentuali minime: nessuno voleva restare tagliato fuori dal banchetto.
Si trattava di far sorgere un grande centro merci, in una delle realtà industriali più dinamiche d’Italia. Ma Cis di dinamico ha avuto ben poco, solo spese, studi, parcelle e prebende. In cambio del nulla. Soldi pagati dagli enti pubblici per progetti riguardanti un’area vicino all’autostrada Serenissima. Infatti, il Centro non si è mai concretizzato. Finché si cercò di correre ai ripari, ripianando i debiti. Nel 2009 il privato Immobiliare Arco aveva sottoscritto un preliminare con cui si impegnava ad acquistare i terreni e ad assumersi i debiti dei soci. Ma l’operazione non è mai decollata.
ALTRI DEBITI DOPO LA LIQUIDAZIONE
Intanto il cda era composto da cinque persone (ma il primo, nel 1988, contava 19 persone!) e le assemblee si susseguivano alle assemblee. Nel 2012 gli amministratori furono sfiduciati, il nuovo presidente del cda (la commercialista Angela Peretto) diceva: «L’oggetto sociale per cui nel lontano 1988 la società fu costituita, non ha possibilità di essere raggiunto». Nessuno se la sentiva di ricapitalizzare. Ecco la liquidazione, decisa nel palazzo della Provincia, sede della società. Sette anni fa. Da allora il nulla, anzi altri debiti.
Prendiamo il bilancio 2014. Risultato negativo pari a un milione 893 mila euro (ma 7 milioni 849 mila nel 2013). L’unico valore è quello del terreno, 10,6 milioni di euro (con un contenzioso milionario per l’Imu). Il patrimonio netto diventa negativo per 13,2 milioni di euro.
I debiti? Verso i soci 4 milioni, verso le banche 16 milioni. Ma che spese può avere una struttura vuota? Per consulenze e spese di procedura, collegio sindacale, presidente del collegio liquidatori e commissario giudiziale, vengono annotati 125 mila euro. Per l’Imu altre 105 mila, per interessi passivi 174 mila euro
MA NESSUNO PAGA
Queste sono le vere cifre dei cento, mille scandali italiani di burocrazia ed enti inutili che continuano a costare, anni e anni dopo essere morti. Ecco il tariffario dei professionisti-locuste che si spartiscono i resti: 15mila euro annui al presidente del cda (più spese chilometriche), 4mila euro ai consiglieri, 10mila al presidente del collegio liquidatori, 5mila agli altri liquidatori.
Dalla liquidazione si arriva al concordato (nel 2014). Possibile che nessuno paghi per questo scialo inutile? No, perché nel 2015 il commissario giudiziale «esprime la necessità di valutare la sussistenza dei presupposti per avviare un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori», ma i soci Comune di Vicenza e Camera di Commercio chiedono un parere legale pro veritate a un avvocato di grido. Il quale «esclude la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità, sia nei confronti degli amministratori Cis. spa, sia nei confronti dei liquidatori». Così scrive la Provincia di Vicenza in una delibera, adeguandosi. Intanto il Comune di Vicenza (sindaco Achille Variati, attuale sottosegretario) annuncia nei bilanci comunali che è in corso la dismissione di Cis.
Ultimo atto. Nella primavera 2019 è stato approvato il bilancio 2018. La perdita d’esercizio è pari a 227.638 euro (264mila nel 2017). Così le perdite portate a nuovo arrivano a 6,5 milioni di euro. Il terreno continua a valere 10,6 milioni di euro. E i costi di gestione? Duecentodiciannovemila euro. Trentun anni dopo l’avvio della grande impresa dei dorotei vicentini, Cis continua a mangiare risorse. E non ha ancora finito di farlo.
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