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L’Italia ha un problema insuperabile. Tutti questi giovanotti dell’entourage di Luigi Di Maio, disseminati tra un ministero e l’altro, non avrebbero mai immaginato che un professore con gli abiti sartoriali e la pochette nel taschino, Giuseppe Conte, potesse avere più empatia con le persone del loro Capo. Questo sorpasso è quello che fa impazzire Di Maio e trascina nel pantano il Conte bis. La prima (esclusiva) occupazione è diventata per loro la conoscenza in anticipo dell’agenda del premier e dei dissidenti in Parlamento per fare interdizione o distribuire blandizie. Siamo molto oltre la soglia dell’indecenza perché tutto ciò avviene mentre il Paese si sbriciola.

Il fiume maleodorante di miliardi del Mose non salva Venezia dall’acqua alta e ovviamente si leva il solito grido dei ricchi per attingere prontamente alla finanza pubblica. Sull’ex Ilva di Taranto assistiamo ai ricatti di chi trasforma in una bandiera quella “tutela penale” che è la soglia minima di civiltà capitalistica in un Paese giudiziario-dipendente come è l’Italia. Passano i giorni senza che nessuno chiami a raccolta la Cassa Depositi e Prestiti non per fare salvataggi ma per dare al Paese ciò che serve: Industria Italia con uomini che capiscono di impresa non di finanza e che offrono soluzioni di mercato al problema industriale delle due Italie a partire dall’acciaio per finire alle infrastrutture e alla compagnia di bandiera. Le nuove carte dell’inchiesta “Mensa dei Poveri”, ribattezzata la Nuova Tangentopoli lombarda, scoperchiano l’ennesimo pentolone di malaffare. Basta così!

Oggi abbiamo voluto fare un’edizione speciale per mettere nero su bianco i numeri dell’operazione verità lanciata sette mesi fa da questo giornale che è diventata ormai base scientifica delle analisi comuni di chi ci governa e della pubblica opinione. Ne siamo orgogliosi. L’unica cosa di cui il Paese non ha bisogno è una contrapposizione sterile con l’intelligenza e la cultura di Milano capitale dei servizi e porta dell’Italia in Europa. Anche perché se c’è al Nord qualcuno che ha consapevolezza delle ragioni dell’unificazione economica e sociale è di sicuro il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Il punto è che a furia di chiedere di abolire il Mezzogiorno con la voce dei suoi migliori intellettuali, il Nord miope li ha accontentati. Sono spariti al Sud gli investimenti pubblici e la spesa sociale.

Si è teorizzata la interdipendenza industriale tra Nord Italia e Nord Europa non tra Nord e Sud Italia. Da dieci anni in qua un flusso di spesa pubblica di 60 miliardi l’anno è stato sottratto ai treni veloci, alle strade, agli ospedali, alle università e alle scuole delle regioni meridionali per fare, spesso, assistenzialismo nei carrozzoni regionali e in una rete comunale clientelare del Nord. La prima scelta di politica industriale che deve fare questo Paese è la perequazione infrastrutturale. La seconda: ricostruire i suoi campioni intrecciando energie e capitali, pubblici e privati, aprendosi insieme al mondo. Si può fare solo se tutti condividono l’operazione verità.


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