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Si chiama perequazione infrastrutturale. Un parolone che farebbe scappare chiunque. Tradotto vuol dire recupero del deficit nella realizzazione di strade, ponti, porti, servizi collettivi destinati a imprese e famiglie italiane nelle varie aree geografiche del Paese per rendere omogenei i territori. Lo prevede l’articolo 119 comma 5 della Costituzione. Con un decreto interministeriale, datato 2010, avrebbe dovuto prendere il via con una prima fase di censimento e ricognizione dell’esistente e una seconda di programmazione strategica delle opere.

TUTTO FERMO

A che punto è? Il nulla cosmico. Tutto fermo. Ci sono zone del Sud dove da anni non si vede un tubo Innocenti. È quanto sta emergendo nelle audizioni alla Camera in commissione Finanze. L’indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle Regioni e degli enti nella prospettiva dell’attuazione del federalismo fiscale.

«Sessantuno miliardi dovevano essere investiti al Sud e sono stati invece utilizzati in altre aree del Paese» ha detto la presidente della commissione Finanze, Carla Ruocco, confermando le cifre che questo giornale sta pubblicando da mesi. «La perequazione va realizzata non solo per il Sud ma anche e soprattutto per i tessuti produttivi del Nord. Perché un’azienda non può, mi si passi il termine, “esportare” al Sud e trovare il deserto».

DATI CERTIFICATI

Con l’audizione degli enti locali i lavori sono entrati nel vivo. L’operazione-verità va avanti e sui numeri arriva una sorta di bollinatura ufficiale. Le entrate correnti nelle Regioni sono scese del 10%, nei Comuni dell’8%. Nella spesa globale c’è una decrescita: da 226 miliardi nel 2009 a 194 miliardi nel 2017. Lo Stato investe meno nei servizi fondamentali e la differenza continuano perciò a farla il gettito e la capacità fiscale.

Nascono da questo contesto le richieste di autonomia, di chi vorrebbe gestirsi in proprio. «Ma quando sento il concetto di residuo fiscale rabbrividisco – è insorta Carla Ruocco, una delle poche voci a levarsi tra i Cinque Stelle – Se lo si dovesse applicare in un’area urbana avremmo una periferia con minore capacità fiscale svantaggiata a beneficio dei quartieri più ricchi. Si creerebbe una bomba sociale, i ricchi dovrebbero andare in giro blindati…».

SCIPPO INDISCUTIBILE

Il debito delle amministrazioni locali è sceso di un quarto rispetto al 2009, quello dello Stato è salito del 35%, ha detto Davide Carlo Caparini, rappresentante della Conferenza delle Regioni. Ma è la perequazione infrastrutturale la nota dolente. «Per ridurre il gap serve un grande piano per il Sud -chiede Donato Toma, governatore del Molise – La tabella dei residui fiscali delle regioni del Sud dicono che il residuo è negativo: non si può, anche volendo, attuare il regionalismo differenziato perché sulla carta non abbiamo autonomia». Persino Alessandro Pagano, deputato della Lega, ammette lo “scippo”: «Da quando la catena globale del valore si è spezzata – dice – il Sud è crollato: sono state tolte le ruote al vagone del Sud e il vagone è diventato zavorra. Il 34% della spesa per investimenti al Sud non è mai stato realizzato, se va bene il 29%, in altri casi solo il 19%». Già. Ma chissà se Salvini concorda.


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