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Sottosegretario Turco, è d’accordo quando diciamo che al Sud sono stati sottratti nell’ultimo decennio almeno 61 miliardi di euro di investimenti l’anno?

«Apprezzo il vostro lavoro e, per dirla con la definizione che utilizzate sul vostro giornale: “l’operazione-verità” è anche la nostra ed è iniziata. La sostanza dei numeri è questa. Con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e con il Dipartimento di programmazione economica (Dipa) della presidenza del Consiglio stiamo esaminando le varie dinamiche».

Mario Turco, senatore, 5Stelle, tarantino, docente di Economia aziendale, ha una delega cruciale: politiche degli investimenti e Cipe. Questi sono numeri che Turco conosce bene: l’Italia si colloca in Europa al 24° posto su 28 per livello di spesa pubblica, con una media del 9,3% contro il 14,4% della media europea.

È il Paese dove si registra il più alto costo di costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità: 28 milioni per km contro i 12 della Spagna, i 13 della Germania e i 15 della Francia. La spesa per gli investimenti è passata dai 54,2 miliardi del 2009 ai 37 miliardi del 2018.

«Rilanciare le spese infrastrutturali ferme da anni – riprende Turco – è la nostra sfida, stiamo cercando di capire dove il sistema si blocca. Abbiamo accertato che nel triennio 2016/2008 alcune delle stazioni appaltanti sono riuscite a spendere solo una parte, circa il 50% delle cifre stanziate. Con i fondi per sviluppo e coesione (Fsc) è ancora peggio: su 47 miliardi a disposizione, per un numero di 7,407 progetti, i pagamenti effettuati sono solo 0,9 miliardi».

Un flop totale. Qualche capoazienda che snobba il Sud per accattivarsi simpatie ai piani alti?

«Ho chiamato a raccolta nei giorni scorsi i vertici di alcune stazioni appaltanti e di grandi società e aziende come Anas, Rfi e Ferrovie dello Stato. Si è dato preferenza ad alcuni territori del Nord, anche rispetto ad altri dello stesso Nord, non solo a discapito del Sud. Non c’è stata una distribuzione equa. Si è seguita una logica che ha premiato le regioni del Nord, se pensiamo alla rete ferroviaria soprattutto Lombardia, Piemonte, Veneto e Trentino».

La stessa Ragioneria dello Stato nelle varie audizioni in Parlamento lo ha ammesso: la ricognizione della perequazione infrastrutturale prevista dal DM del 2010 non c’è stata. Zero.

«Confermo. Solo negli ultimi due anni si è mosso qualcosa: nel Sud ci sono città e regioni non collegate tra loro. A mio modo di vedere collegare una città del Sud con le regioni del Nord non è la priorità. Prima bisogna creare un asse viario internodale che metta in comunicazione comuni come Crotone, Taranto, Potenza Matera e Brindisi che sono fuori dal sistema europeo. Il Sud non ha una rete viaria. Ci sono città isolate rispetto al resto del Meridione. Questo è impensabile. Prendiamo la Zes Jonica. Da Taranto a Matera non ci sono ferrovie, l’unico collegamento è una strada a due corsie, per 60 km si impiegano due ore. Secondo lei, quale impresa investirebbe in un territorio del genere? Si rende conto? Tre mari, il Tirreno l’Adriatico e lo Jonio non sono collegati tra loro. E dove non ci sono infrastrutture non c’è neanche crescita economica. Gli antichi avevano creato la via Appia, un sistema circolare di comunicazione. Al Sud serve un sistema economico, un sistema infrastrutturale in grado di creare un mercato integrato. Invece le nostre regioni non parlano tra loro, le università, i Comuni restano distanti».

Lo pensa lei o lo pensa anche tutto il governo?

«Il Piano Sud al quale stiamo lavorando a stretto contatto col presidente Conte, vuole realizzare esattamente questo: le basi per creare un mercato economico».

Da dove si parte?

«Rfi dovrà rivedere i suoi programmi. Riadeguarli. Gli investimenti nell’alta velocità Bari/Napoli servono ma non solo. Ho incontrato, come dicevo, anche Anas e Ferrovie dello Stato e ad ogni azienda ho chiesto un riequilibrio degli investimenti. Il 34% dovranno rispettarlo. Il Sud ha un credito, quello di cui si parlava prima E il riequilibrio deve riguardare anche quelle aree del Nord più depresse. L’attenzione deve andare alle città cosiddette secondarie. Possono fare da moltiplicatore. Se investi un euro in una megalopoli ricavi, una cifra “x”. Se lo investi in una città secondaria ricavi una cifra “x” più “zeta”. Ci sono 145 miliardi di investimenti pubblici programmati e non spesi. Dobbiamo accelerare l’impiego della spesa. Sotto il diretto controllo della presidenza del Consiglio, Investitalia e l’Agenzia per la coesione avranno il compito di fare da acceleratori. Metteranno in campo una squadra di ingegneri per sopperire alle lungaggini amministrative e risolvere prima che nascano i contenziosi».

Lei è di Taranto. Che ne sarà dell’ex Ilva?

«Il governo ha un impegno con la città di Taranto, a prescindere dall’acciaio».

Che cosa risponde a chi dice che questo governo ha un’anagrafe sudista?

«Che la crescita del Sud serve anche al Nord. E in tempo di crisi il Mediterraneo, col raddoppio del Canale di Suez e la via d’Oriente, è una straordinaria opportunità».

Ha provato a spiegarlo anche a Grillo e Casaleggio?

«Beppe è venuto a Taranto. Davide no. Ma presto lo inviterò».


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