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di Mario Morcellini
L’istituzionalizzazione della comunicazione nell’Università italiana, ispirata ad un grande progetto riformatore promosso trent’anni orsono dall’allora Ministro Antonio Ruberti, trasferiva nel campo dell’Accademia la domanda allora solo incipiente di innovazione, trasparenza, ascolto e accountability da parte dei cittadini. Iniziò allora a costituirsi un terreno scientifico che, letteralmente, ha dato vita e legittimazione all’area della Comunicazione pubblica e istituzionale, favorendo anche un processo di convinto rinnovamento della nostra società civile nel solco di un profondo cambiamento del rapporto tra cittadini e Istituzioni. Quella rivoluzione formativa e professionale della Comunicazione ha anche sollecitato un rilevante aggiornamento legislativo e normativo, registratosi quasi in tempo reale alla nascita dei corsi. Stiamo parlando anzitutto della Legge 241 del 1990 che ha innovato l’accesso agli atti ed una prima disciplina della trasparenza, ed ha promosso un percorso quasi trentennale verso la centralità del cittadino-utente. Un ulteriore e dirompente passo, trascurando qui molti altri provvedimenti innovativi, va individuato nella Legge 150 del 2000. Ed è proprio osservando retrospettivamente questo processo, con gli strumenti della storia della cultura delle istituzioni, che emerge con chiarezza la profondità di una svolta culturale e strategica che interessa il nostro sistema pubblico: il passaggio dalla procedura al risultato, e quello ancor più rilevante dalla risposta alla prestazione. Il senso di questo iter normativo ma anche di innovazione sociale è stato riassunto efficacemente pochi anni fa dall’allora neopresidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento alle Camere riunite: “Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani”. Era il 3 febbraio 2015. Dopo più di quattro anni da quel discorso non possiamo nasconderci che, nel tempo nuovo dei social, il cittadino si aspetta molto di più, anche in ragione di quella polarizzazione tipica dei linguaggi sulla rete che sembra ogni volta eccitare il contenzioso piuttosto che il dialogo. Il cittadino si aspetta di essere ascoltato e soprattutto considerato interlocutore, perché cerca un dialogo paritario a cui le Istituzioni non possono sottrarsi. Ma il punto chiave è la presa d’atto di una progressiva maturazione di processi comunicativi, anche dal basso, che possono stressare e forse superare un secolare retaggio di passività, favorendo una dinamica di aspettative più avanzata e capace di aprire alla partecipazione. Riassumendo sinteticamente questo processo storico alle nostre spalle, emerge che il sistema formativo della comunicazione è stato un pezzo rilevante della modernizzazione italiana entro una visione in cui abbiamo consapevolmente avvicinato alle Istituzioni generazioni di giovani più acculturate e competenti che in passato. Ed è qui allora, che intravedo il primo straordinario segno di coerenza con la scelta compiuta dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli di onorare la carriera di Gianni De Gennaro proprio con una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa. Basta scorrere il suo curriculum per sentir risuonare una militanza istituzionale di crescente responsabilità, tanto più saliente perché intrecciata a passaggi delicati della crisi italiana, come l’incarico di Commissario straordinario per la gestione dell’emergenza dei rifiuti in Campania nel 2007. Gianni De Gennaro si era laureato a suo tempo in Giurisprudenza presso la Sapienza e ha poi percorso i gradini di una prestigiosa carriera fino ai massimi vertici nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza. Nel tempo nuovo segnato dall’insicurezza crescente e da una retorica della paura, il lavoro portato avanti da De Gennaro ci ricorda che le esigenze securitarie impattano anche sulle imprese e sulla produzione sociale di ricchezza, mettendo in valore sistemi di difesa relativi a territori industriali di innovazione avanzata come l’aerospazio. È dunque anche qui un segno dei tempi che un curriculum di una persona misuratosi a così alto livello con i problemi della sicurezza sia dal 2013 a capo di un’impresa di eccellenza del Paese ispirata al nome di Leonardo. Ed è un indicatore tipico di uno Stato moderno saper valorizzare i propri servitori in contesti apparentemente lontani da quelli di partenza.
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