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“FELICE chi è diverso”, il documentario di Gianni Amelio dedicato all’immagine che è stata data dai media agli omosessuali nel secolo scorso è davvero pieno di tante suggestioni. Presentato oggi al Festival di Berlino nella sezione Panorama, il docu che sarà nelle sale con il Luce dal 6 marzo spiega oggi il regista: «Spero sia anche un atto politico. E’ un lavoro scavato dentro di me e che fa vedere dei momenti che per me sono intollerabili per emotività».
Amelio, che ha 69 anni, è di San Pietro Magisano, piccolo centro della provincia di Catanzaro. E a proposito dell’omosessualità dice: «C’è una sola regione in Italia in cui nessuno si dichiara gay: è la Calabria, ovviamente tranne l’unico che è andato via: io».
“Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune”, questa la poesia di Sandro Penna che dà il titolo al documentario ci porta indietro nel tempo. Quando l’omosessuale era come invisibile. Oggetto solo di ammiccamenti complici, ma mai espliciti, sia in tv che al cinema che sulla stampa. E questo fino agli anni ’80, quando sulla scia di certa cultura americana, compaiono le prime aperture. Nel film, immagini di repertorio, e le testimonianze di persone, in un’età compresa tra i 75 e i 90 anni, che hanno vissuto sulla propria pelle la difficoltà di essere oggetto di scherno sia a scuola, che nella società come in casa. Si ricordano ovviamente gli anni del fascismo e, poi quelli del secondo dopoguerra.
«Va detto – spiega Amelio – che il materiale di repertorio non è poi così abbondante. Ma ci sono casi eclatanti come è per riviste di destra come “Il Borghese” e “Lo specchio”. Queste, almeno in ogni numero, contenevano un attacco agli omosessuali. Il Borghese, ad esempio, costrinse il ministro fiorentino Sullo a sposarsi. E poi lo ha anche attaccato dopo le nozze dicendo appunto che quel matrimonio era solo una copertura. Insomma una trappola mediatica».
Tante poi le cose censurate in tv che si vedono nel docu di Amelio. Una sorta di coming out fatto da Umberto Bindi in tv venne censurato come accadde per uno sketch di Raimondo Vianello considerato troppo esplicito. I giornali, quelli scandalistici di cronaca nera, usavano allora termini come “la Roma sporca”, il “vizio imperante”. Si usavano termini come “invertito”, “capovolto”, “finocchio”, “occhio fino” (come fa Vittorio Gassman ne “Il sorpasso” di Mario Monicelli).
«Che cosa passava dell’omosessuale?», dice Amelio: «Passavano solo sarti effeminati, ispirati alla figura di Schubert molto nota, o altri personaggi ambigui, ma mai si sentiva la parola “frocio”. Il non dirla proteggeva».
Dopo gli anni settanta le cose diventano anche peggio. «Ci si riferisce agli omosessuali solo come di gente da ‘una botta e vià, come è per i puttanieri, non esiste l’omo-affettivita. Non è prevista». “Felice chi è diverso” si apre con una povera donna in un letto di ospedale negli anni Sessanta a cui si dice che il figlio omosessuale sarà la croce della sua vita «anche perchè nato nel ceto sbagliato» e, tra le testimonianze quelle sulla presunta bisessualità di Andreotti. Infine a parlare è un disperato ragazzo gay di oggi che mostra come nulla sia davvero cambiato.
«Prima di Papa Francesco, anche la Chiesa ha avuto anatemi spaventosi verso i gay, compreso il Papa precedente» dice Amelio che per far capire poi l’attualità del tema aggiunge: «Oggi, nel 2014 un insegnante di scuola media gay avrebbe problemi. Siamo in un Paese in cui ancora si confonde l’omosessualità con la pedofilia. Essere gay è tollerato solo per un calciatore, per una cantante, per un attore, ma già un operaio perde il lavoro subito».
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