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di Sara Lorusso
POTENZA – L’iniziativa è nata sull’onda spontanea «dell’arrabbiatura», spiega Liliana Guarino, consigliera di parità della Provincia di Potenza che alle recenti elezioni regionali era una delle candidate. In generale poche, il punto è che nessuna di loro, e di nessuno schieramento, è riuscita a raggiungere l’aula del consiglio regionale. «Sono stata sollecitata da numerose altre donne». E sia chiaro, questa è un’indignazione bipartisan, tanto che la conferenza stampa che lo spontaneo movimento “metà di tutto” ha convocato per oggi in una delle sale del Grande Albergo di Potenza, non avrà colore. Sarà conferenza di genere che sulla presenza di genere in politica, almeno a dato chiuso in Basilicata, tirerà le sue conclusioni. Movimento, spiegano, composto da donne di ogni provenienza sociale, del mondo dell’associazionismo e delle professioni che «è pronto a denunciare i metodi e le prassi che hanno portato la Basilicata a essere una regione, insieme alla Calabria, senza alcuna donna eletta in consiglio regionale». Per dirla con le parole della consigliera di parità della Calabria, «con amara ironia si potrebbe commentare che la democrazia paritaria si è fermata ad Eboli». Maria Stella Ciarletta, infatti, dalla regione confinante non usa mezzi termini quando ricorda che «troviamo una presenza di consigliere più o meno risicata, ma comunque importante» dalla Puglia al Veneto, passando per la Campania dove «è stato introdotto un correttivo» alla legge elettorale, pur «senza raggiungere risultati eccezionali e neanche paritari», ma «è, purtroppo, altresì evidente che il terreno della politica presenta diverse ostilità nei confronti delle donne». Così, Calabria e Basilicata accomunate dal dato di un consiglio regionale tutto al maschile. L’unica donna eletta a viale Verrastro (nel listino), la senatrice Maria Altezza, secondo gli accordi pre-elettorali dovrà dimettersi per far spazio a un candidato consigliere: sarò sostituita da un uomo. Quell’aula di uomini rappresenta, spiegano dallo spontaneo movimento, «per la democrazia e la società lucana un segno di grave inciviltà ed arretratezza, sia alla luce delle recenti normative sulla parità sia di quanto accade nel resto del mondo, nel resto d’Europa e nel resto di Italia». Riassumono così, in attesa di spiegare meglio in conferenza stampa, la rabbia e l’amarezza. «E’ triste tutta la situazione – prosegue la Guarino – Le dinamiche di questo momento non fanno altro che testimoniare ancora una volta l’attaccamento degli uomini alla poltrona». Certo, il problema non è poco complesso. «Qui non si tratta di rendere agevole il nostro ingresso nelle sedi istituzionali. Del resto, tutte noi candidate abbiamo testato in campagna elettorale quanto si parli, anche recriminando, delle quote rosa. Peccato che poi siano gli uomini a imbracciare i fucili e a farsi la guerra». Allora? Candidate poche, ma presenti. Solo che, visti i dati finali, sembra che neanche le donne votino le donne. «E perché dovrebbe essere questo il tema?» Perché una donna dovrebbe per forza, o solo per solidarietà, votare una donna? Il problema, dicono, piuttosto è a monte. «La presenza maschile in politica e nelle istituzioni è creata sul consenso ed è più vicina, proprio per quella stessa presenza, alle risposte e alle attese dei soggetti meno forti, probabilmente donne comprese». Le donne non sono riconosciute «come forti». E poi c’è il tema spesso richiamato di tante responsabilità concentrate sulle donne che non hanno il tempo per fare altro, compreso sgomitare.
Guarino da poco ha concluso l’esperienza della candidatura, scelta anche per «capire di persona i meccanismi». Su un punto, sgombera il campo dagli equivoci. «Non c’è alcuna intenzione di invocare una protezione, né una tutela. Ma quello di cui abbiamo bisogno è lo strumento. Le politiche di parità sono demandate alle Regioni, in altri territori il percorso funziona. Ma lì dove la cultura da sola non basta, dove la politica che predica il cambiamento sembra a questo punto solo di facciata, c’è bisogno di mettere in campo uno strumento normativo che permetta la rappresentanza». Per due motivi. Sarebbe rappresentanza di otre metà della popolazione votante, oltre che «una presenza in grado di garantire politiche solidali, più eque». Sicure, dicono, che «la maggior presenza di donne in politica si tradurrebbe in politica di qualità».
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