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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – «Riciclaggio familiare» lo definisce il giudice per le indagini preliminari Luigi Spina. Agli investigatori del Gico della Guardia di finanza risulterebbero «sperequazioni di natura finanziaria» sui conti di Saverio Riviezzi, indicato dalla procura antimafia come il boss della famiglia di Pignola, arrestato con altre nove persone l’altro giorno.
«Sulla scorta delle dichiarazioni fiscali presentate – scrivono gli investigatori – l’indagato risulta aver percepito negli ultimi anni redditi di modestissima entità. Le uniche entrate di natura finanziaria riferibili a Riviezzi e al suo nucleo familiare derivano da erogazioni nei confronti del figlio Vito, relativi a stipendi per prestazione di lavoro dipendente della società di smaltimento di rifiuti solidi urbani, concessionaria del Comune di Pignola, che peraltro risultano di moderato profilo economico». Gli investigatori del Gico segnalano la sproporzione tra i «redditi dichiarati» e le «disponibilità finanziarie» sui conti corrente bancari e postali. Sui conti corrente della famiglia Riviezzi, scrive il gip, c’erano 50 mila euro. «Si ritiene – si legge nell’ordinanza di sequestro dei beni – che quel danaro non sia giustificabile». Sarebbe, insomma, sproporzionato in relazione ai redditi dichiarati dal nucleo familiare di Riviezzi». Il gip sottolinea anche che «Vito Riviezzi, nel periodo preso in esame, ha acquistato immobili, sostenendo esborsi». Ha acquistato un’abitazione a Pignola per un importo di 23 mila euro e un terreno agricolo con annesso fabbricato rurale per mille euro.
Scrive il gip: «Questa puntuale e approfondita indagine patrimoniale e l’esito della stessa è inequivocabilmente dimostrato da un lato dall’esistenza di redditi non dichiarati proventi di attività illecite riconducibili ai gruppi criminali dei quali Saverio Riviezzi e Antonio Cossidente sono i leader riconosciuti, esistenza del resto confermata dal collaboratore di giustizia Gino Casentino e logicamente deducibile dalla natura e dalla nota redditività delle attività illegali gestite, dall’altro la sproporzione dei redditi vantati dai nuclei familiari dei due indagati». In particolare, secondo il gip, la circostanza che di fatto le entrate lecite da un lato di Vito Riviezzi, figlio di Saverio, dall’altro della moglie e dei suoceri di Antonio Cossidente, con l’anomalia segnalata dal pm circa il versamento dei trattamenti pensionistici dei due anziani sul conto della figlia e nonostante il suocero di Cossidente viva per conto suo, nonostante il trascorrere del tempo non vengano utilizzate per il sostentamento dei rispettivi nuclei familiari, pur costituendo le uniche fonti di reddito di queste famiglie, non può che significare che tale sostentamento viene di fatto assicurato con il ricorso a ben altre risorse, non dichiarate e non dichiarabili, con un evidente fenomeno di riciclaggio familiare». Gli accertamenti del Gico «hanno dimostrato – si legge nell’ordinanza – che le somme e i beni finanziari sono stati accumulati nel tempo, dando vita a un fondo di risparmi abbastanza consistente (rispettivamente circa 50 mila euro per Riviezzi e oltre 60 mila per Cossidente), generalmente depositato su conti corrente, anche sotto forma di buoni fruttiferi, senza che vi fosse alcun atto di prelievo che giustificasse le necessarie spese per il mantenimento del menage familiare». La conclusione: «Ovviamente ciò vuol significare che i due boss, lungi dal sostenere un inverosimile tenore di vita senza alcuna spesa, hanno impiegato altre risorse, di provenienza illecita e comunque non giustificabili, per mantenere sé e il proprio nucleo familiare. In altre parole, quindi, hanno utilizzato e continuano a utilizzare i propri proventi delittuosi per gestire i bisogni di vita di sé, del proprio nucleo familiare e dei loro danti causa, mettendo da parte a mo’ di risparmio le somme incamerate con l’escamotage di cui si è detto».
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