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di ANTONELLA GIACUMMO
POTENZA – Cosa accade ai ragazzi? Perché, sempre più spesso, la violenza diventa per loro una risposta? Ogni volta che un nuovo caso di “bullismo” viene alla luce, sono gli adulti a interrogarsi perché se questo accade è la società tutta ad avere delle precise responsabilità. «Il problema vero – spiega la dirigente scolastica dell’Ipias, Silvana Gracco – è il vissuto che questi ragazzi si portano dietro. Il problema è nel loro essere soli, nel non avere alle spalle delle famiglie che possano aiutarli e sostenerli. Si tratta di ragazzi con storie difficili, che vanno puniti (come abbiamo prontamente fatto appena abbiamo saputo quanto era accaduto), ma che non possiamo abbandonare. Qui arrivano ragazzi che non hanno voglia di andare a scuola, arrivano quelli con maggiori difficoltà, ma se la società non comprende che abbandonare a se stessi questi ragazzi significa farli avvicinare alla microcriminalità e alla droga, non andiamo da nessuna parte. Allora che messaggio vogliamo lanciare noi? Questi ragazzi da soli non ce la possono fare. Spesso hanno un solo genitore che fa fatica a seguirli, in paesi abbandonati in cui non c’è nulla. La scuola allora diventa un’ancora e noi non possiamo abbandonarli a loro stessi: in questo istituto ci sono 100 docenti che lavorano al meglio e devono seguire 500 ragazzi e nonostante tutte le difficoltà quello dei due ragazzi resta un episodio isolato. C’è poi l’altro aspetto: il silenzio di chi subisce. Perché? Si tratta di ragazzi di 17 anni a cui è bastata una sospensione seria per abbassare la testa. Di chi hanno paura?».
«In tutte le scuole – spiega Caterina Perta, dirigente scolastico dell’Itc “Francesco Saverio Nitti” – c’è sempre un ragazzo un po’ “ribelle”, ma spesso non c’è nessuna volontà di far del male. Vogliono semplicemente farsi notare». Un bisogno che nasce da un’assenza fondamentale: la famiglia. «I ragazzi – continua Perta – sono molto poco seguiti. I genitori spesso credono di seguire i figli dando loro quello che chiedono. Ma il più delle volte non è la risposta giusta perché loro hanno più che altro bisogno di essere ascoltati». Non avere dei punti fermi, delle regole certe, ma anche un modello preciso con cui confrontarsi crea dei disagi e genera la rabbia che poi sfocia in fenomeni di bullismo. I ragazzi vogliono farsi notare: dai loro genitori prima di tutto.
La scuola di oggi è, del resto, assai diversa da quella di trenta o quaranta anni fa. Oggi il dirigente scolastico fatica anche a far rispettare una regola semplicissima che è quella dell’orario d’ingresso. «Ho dovuto combattere – continua la dirigente dell’Itc – con le resistenze di alunni e genitori. Ma le regole sono regole e vanno rispettate. E io ho avuto buone risposte». La difficoltà di far rispettare le regole è condivisa anche dal dirigente dell’Itis “Einstein”, Rocco Colonnese, che racconta come spesso i ragazzi – nei ritardi così come nelle assenze – vengano giustificati e difesi dai genitori. E poi c’è una questione: «L’obbligo scolastico portato a 16 anni costringe a scuola anche ragazzi che non hanno voglia di stare in classe. Per loro, quindi, ogni occasione è buona per disturbare gli altri. I professori, allora, devono trasformarsi in vigili urbani che faticano a insegnare. Forse si doveva pensare a un percorso breve con corsi manuali. Oggi la scuola è tutta virtuale, magari tra quei ragazzi che faticano a stare in classe ci sono dei maestri artigiani». Ma alla scuola si continuano a tagliar fondi e anche i laboratori diventano virtuali. E così, se i ragazzi più motivati devono portarsi le viti da casa, cosa succederà a quelli che scelgono la scuola per ripiego?

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