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di SARA LORUSSO
POTENZA – Due giorni dopo, quando il dolore non è certo andato via, ma la quotidianità, almeno quella degli altri, ricomincia lentamente, il sindaco affida a poche righe quello che ritiene un «doveroso ringraziamento». Lo fa a nome personale, dell’uomo e non dell’istituzione, lo fa a nome della sua famiglia, dei suoi due figli, Francesco e Leonardo, e della famiglia della sua adorata Anna che li ha lasciati giovedì scorso, di notte, dopo una lunga e terribile malattia. Anna Palese, poco più di cinquant’anni e una vita lontana dai riflettori, ha lasciato anche la città di cui era parte, senza mai averne vissuto le luci della ribalta, in silenzio.
E invece la città ha ricambiato con clamore, vuoi per il ruolo del marito, Vito, che ha chiamato la comunità a vivere indirettamente il dolore privato – in questa città che della metropoli vive l’ispirazione, ma che è lo spazio della vicinanza e della conoscenza familiare – vuoi per le doti pubbliche e riconosciute di chi, come Anna, ha dedicato una vita al lavoro, da puericultrice, alla famiglia, agli altri.
Ecco che allora Santarsiero scrive quel suo «profondo grazie alla città, a tutte le istituzioni, a tutte le forze politiche e sociali, alla nostra chiesa per l’affetto e la vicinanza che abbiamo ricevuto» dopo la dolorosa perdita.
Poi, tra le righe, il passaggio concreto sull’esperienza che, involontariamente, ha testato personalmente. Prima da cittadino, che da sindaco.
E’ la malattia della moglie, è quel dolore insopportabile che ha vissuto come uomo, che da primo cittadino lo ha reso orgoglioso di un «presidio di eccellenza» di questa città. Non tralascia, non potrebbe, l’attenzione alle strutture che per la sua cara moglie hanno messo in campo diversi tentativi di cura, in quei lunghi e frequenti viaggi verso il Crob di Rionero e l’ospedale Bellaria di Bologna.
Ma è alle strutture del capoluogo che va il suo «grazie speciale». Pensa all’ospedale San Carlo e al dottor Paolo Severino, direttore dell’Unità operativa di Neurochirurgia, e ai suoi collaboratori, che hanno tentato il possibile.
Quel reparto, assicura anche oggi che le speranze si sono dimostrate inefficaci, ma che non lasciano dimenticare l’impegno prestato, è «luogo di vera eccellenza sanitaria».
E poi c’è l’Hospice, diretto dal dottor Marcello Ricciuti e dai suoi collaboratori, in cui l’amore e la professionalità sono portati in dote anche dai volontari che, come per l’associazione “Amici dell’hospice”, fanno di quelle stanze, di quella “casa” accogliente all’interno dell’ospedale, un luogo del sollievo. Per tutti, non solo per il paziente.
E lui, la sua famiglia, ne hanno vissuto, loro malgrado, la realtà. Ecco «l’altra grande ricchezza della città sia per professionalità che per umanità».
Santarsiero, padre e vedovo, oggi raccoglie il ruolo pubblico che ha reso il dolore privato un fatto di città e ne approfitta, da uomo, per ricambiare l’affetto percepito.
E’ Vito, l’indomani, ad abbracciare la sua città.
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