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Quattordici ordinanze di custodia cautelare in carcere, sono state emesse dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari (Cosenza) a carico di altrettante persone accusate di far parte di una organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione. L’organizzazione operava nelle zone della sibaritide e del comprensorio del Pollino. L’esecuzione dei provvedimenti vede impegnati gli uomini del Commissariato di polizia di Castrovillari e della polizia stradale di Frascineto. Gli arrestati sono italiani, albanesi e romeni.
Le indagini fanno emergere una situazione che vede donne ridotte in schiavitù, costrette ad abortire o ad avere rapporti sessuali nonostante la gravidanza.
L’operazione di oggi, denominata «Cerbero» ha consentito di scoprire un’organizzazione che sottoponeva le vittime a controlli severi per coartarne la volontà. Nunerosi i casi di violenza accertati, tra cui il tentativo di sequestro di una prostituta rumena, residente a Bologna, che l’organizzazione intendeva costringere ad esercitare in Calabria la sua attività. La violenza degli sfruttatori spesso si scatenava anche fra gli stessi complici, sfociando in scontri fra i gruppi di diversa nazionalità.
PROSTITUZIONE e VIOLENZA
La zona della Sibartide, nel cosentino, sta diventando una sorta di «laboratorio» criminale, dove le cosche locali, in cambio della fornitura di armi e droga, consentono alla mafia albanese di gestire la prostituzione di giovani donne prelevate nei Paesi dell’Est europeo. È quanto emerge da alcune inchieste giudiziarie condotte nella zona. Anche l’operazione condotta stamani ha evidenziato che, pur in assenza di un collegamento diretto tra lo sfruttamento della prostituzione e le cosche, queste ultime hanno comunque dato il loro beneplacito ai criminali albanesi.
Agghiaccianti i racconti delle donne. Qualcuna ha raccontato di essere stata portata in Italia con la promessa di un lavoro, ma appena giunta a Crotone è stata violentata ripetutamente da un suo connazionale che l’ha tenuta prigioniera per anni. L’uomo l’ha costretta a cinque aborti. «Io non volevo – ha raccontato la ragazza – ma lui mi minacciava con un coltello, mi feriva ai piedi, poggiava la lama e tagliava». Sevizie delle quali la donna porta ancora i segni sulle gambe, insieme a quelli delle bruciature di sigarette.

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