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di FRANCO CRISPINI
Non è fuori luogo chiedersi quale significato i calabresi hanno attribuito alla convocazione a Reggio Calabria di un Consiglio dei ministri, e quale conseguenza si è pensato che tale visita insolita possa avere per le scelte nelle vicine elezioni regionali ed i futuri rapporti tra una regione del Sud ed il governo nazionale. Domanda legittima di fronte ad un evento straordinario, eccezionale che ha certamente colpito e sbalordito, che ha toccato l’emotività e la fantasia dei calabresi: niente meno un Consiglio dei ministri in terra di Calabria, mai visto niente di simile, la squadra al gran completo del Cavaliere, qui, in questa terra che viene quasi riscoperta come una parte quasi privilegiata del Sud con più con gravi e specifici problemi, che ha bisogno di soccorsi e da sola non ce la può fare. La cerimonia è la solita. Lui a stringere mani, a lanciare sorrisi, a fare annunci, ad abbracciarsi il sindaco della città, candidato a governatore regionale, e poi con lui, a far da cornice, tutte le belle statuine, tutti i ministri, dal più alto al più basso (in grado, si intende non nella statura): un grande spettacolo fatto per accendere gli entusiasmi dei fan fuori del Palazzo (che gridano l’inno dell’amore per le cerimonie più spettacolari, “meno male che Silvio c’è”), non certo di quelli che portavano un cartello dove era scritto il numero della tessera piduista del Cavaliere. La massonica P2 non era forse una mafia? Speriamo che l’intelligenza dei calabresi non sia rimasta anche essa stregata dalla parata. Questo evento, unico nel suo genere, ha tutto l’aspetto di una strabiliante apertura della campagna elettorale del Pdl riservata alla Calabria. Può ritenersi casuale questa discesa di un Governo al gran completo, di tutto punto, schierato sul palco della Prefettura reggina? Viene davvero solo come una risposta politica ai gravi fatti di Rosarno, alle bombe alla Procura di Reggio, al brutto segnale della macchina piena di esplosivi lungo il percorso dello spostamento del Capo dello Stato nella sua recentissima visita a Reggio? Tanta sensibilità, tanta sollecitudine per una Calabria trascurata, sono seriamente il segno di una preoccupazione del Gran Capo e dei suoi ministri “nordisti” verso una regione che nel grande malessere di tutto il Sud tira con più fatica la sua carretta? Occorre riflettere di fronte a questa che potrebbe veramente rappresentare una svolta nella politica berlusconiana da FI al Pdl nei riguardi delle drammatiche condizioni in cui vive una regione meridionale come la Calabria. Come si ricorderà, già nello scorso anno vi sono stati in aree vicinissime al partito del Cavaliere segnali di una riscossa sudista, autonomista-leghista che ha dato qualche pensiero al Capo, il quale però attraverso i suoi neomeridionalisti come Tremonti, il teorico Brunetta, Sacconi, ha annunciato tanto di piano per il Sud. Ora, a seguito di tragici fatti, di altre congiunture negative in cui vivono gran parte delle regioni del Mezzogiorno, ma soprattutto nella imminenza delle elezioni regionali che sono la prova del fuoco più vicina per un Governo affogato nelle proposte di legge che riguardano esclusivamente la persona del Premier, era necessario mostrare che il progetto del leader massimo è unitario e nazionale, non esclude questa parte del Paese, non è nordista e bossiano, come tutto lascia credere. E perciò Berlusconi ha bisogno di scuotersi di dosso una immagine che per il legame forte con la Lega e la inesistente azione del suo governo a sostegno del Sud, potrebbe fargli perdere il consenso, che a stento i suoi luogotenenti ed ascari meridionali riuscirebbero a frenare, in regioni previste dalla sua strategia unitaria-nordista. Così, pur non avendo alcun serio ed organico progetto meridionalista specificato secondo i diversi contesti regionali ma ubbidiente all’unico fine di riequilibrare lo squilibratissimo rapporto Nord-Sud, la macchina berlusconiana suona la grancassa delle sue decisioni governative epocali, e comincia da mali ancor più appariscenti, che per essere di grandissima gravità non necessiterebbero certo di pannicelli caldi o di cure annunciate che per poter venire applicate richiedono tempi lunghissimi mentre si prolunga l’agonia di queste terre ben oltre le elezioni regionali. Mafie e monnezza, monnezza e ‘ndrangheta: da soli non le avrebbero levati i calabresi, i campani, sono piaghe che consumano e infestano il Sud, e non sono certo le sole. Occorreva un liberatore; occorreva chi ha sempre combattuto le mafie, i Graviano, i Ciancimino, gli Spatuzza ed altri, a viso aperto, senza mai venire a compromessi con loro. E questo salvatore, dopo quel fatidico giorno del Consiglio dei ministri a Napoli che ha visto per incanto sparire il fetore dalle strade della grande città ed ha messo sotto disciplina la collocazione di inceneritori e termovalorizzatori, ha portato in Calabria, a Reggio, il suo mitico, magico governo capace di vere prodezze. In apparenza si è voluto segnare una data storica nei rapporti, sempre conflittuali, tra regioni meridionali e governo nazionale non solo fisicamente assente in quei luoghi; ma nella sostanza, nel caso della visita a Reggio, se non se ne vuole cogliere il significato compendiato nelle parole stesse del premier “meno irregolari meno crimini” – una delle sue solite uscite infelici e provocatorie – nei provvedimenti da adottare assieme a quello che si ritrova già nella legislazione antimafia vigente, non mancano sicuramente nel Piano anticriminalità indicazioni utili per combattere il fenomeno delle mafie. Ma quanti di questi provvedimenti (ben dieci interventi: dalla creazione di una Agenzia per i beni mafiosi sequestrati e confiscati alla lotta al lavoro nero, ed altro) diverranno decreti e leggi discussi dal Parlamento modificati, meglio integrati, ma soprattutto avranno una rapida applicazione? Tutto il Piano avrà vissuto la vita breve della memorabile giornata reggina o, pur essendo ovvio che avrà bisogno dei necessari tempi lunghi, dovrà aspettare le calende greche, come si dice, per vedere concretamente la luce e dare i primi risultati attesi? Diventa legittimo il sospetto che a Napoli come a Reggio il governo abbia puntato tutto sugli effetti di immagine (il Cavaliere è un abilissimo regista!) cogliendo i vantaggi di mostrarsi attento a quel che più assilla alcune parti del Paese. E d’altra parte il disastro ambientale della monnezza, la devastante presenza mafiosa, sono ferite vistose per il corpo sociale tali da portare alla riconoscenza per chi dice di volerle sanare. I calabresi ed i campani hanno vista lunga per rendersi conto se si è voluto solo trarre profitto delle loro situazioni drammatiche sbandierando soluzioni che poi vengono ridimensionate nei fatti. Vi è solo da dire: se son rose fioriranno, potendo amaramente già constatare che “passata la festa, gabbatu lu santu”.
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