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di TONINO PERNA
A Berlino, due mesi fa, di fronte ai premi Nobel riuniti per celebrare il ventennale della caduta del Muro, il grande regista Wim Wenders ha dichiarato: «La vera utopia non è la caduta del muro, ma quello che è stato realizzato in Calabria. Riace in testa». Questa dichiarazione ha il giro delle agenzie di stampa e ha inorgoglito i calabresi che amano questa terra.
In questi giorni siamo presenti sulla gran parte dei mass media europei con le scene di guerriglia e di razzismo che hanno attraversato le vie di Rosarno, con il conto dei feriti più o meno gravi e le interviste a una popolazione inferocita. Immagini che ci riportano ai tragici film sul Ku Klux Klan che impazzava nel sud degli Stati Uniti, nelle grandi piantagioni di cotone e schiavi, e impiccava o crocifiggeva gli afroamericani, gli incendiava le casupole di fango e canne di bambù che tanto somigliano a quegli accampamenti di cartone dove vivono le migliaia di africani arrivati nella piana di Gioia Tauro per la raccolta delle arance.
Due facce della Calabria Ultra, quella che parte dall’istmo di Lamezia per raggiungere lo Stretto di Messina. Una terra dai colori forti e dai contrasti violenti. Se provate a salire a Montalto, in cima all’Aspromonte, potete godere di un grande scenario che abbraccia la Calabria Ultra e guarda in faccia l’Etna e i Peloritani. Allo stesso tempo potete cogliere il forte contrasto tra la costa tirrenica e quella jonica: la prima vi appare come una foresta tropicale sempre verde, con i suoi giganteschi olivi che proteggono vaste piantagioni di agrumi, l’altra come una zona arida, bruciata dal sole e priva di corsi d’acqua significativi.
Anche sul piano sociale, e soprattutto dell’immaginario collettivo, oggi questi due mondi si scontrano pur insistendo in una stessa area. Da Riace a Rosarno non ci sono più di sessanta chilometri, meno di un’ora di auto, eppure sembrano appartenere a due pianeti diversi.
A Riace arrivano ogni settimana gruppi cattolici, turisti solidali, giornalisti, intellettuali, artisti. A Riace la prossima estate si terrà un incontro nazionale della Cisl sul tema dell’accoglienza e dei diritti di cittadinanza. A Riace si è sperimentato un modello unico in Europa, in cui le aree marginali, i territori abbandonati rinascono grazie agli immigrati. Anche Caulonia ha intrapreso questo cammino. Altri, come Stignano, ci stanno provando.
A Rosarno è ancora l’inferno, nei cuori più che nelle strade, nell’odio che è esondato come il Petrace dopo una lunga pioggia. Rosarno rappresenta l’ultimo episodio di un Mezzogiorno razzista e violento, dove – dal Foggiano al Casertano – si sfruttano gli immigrati a sangue, dove i meridionali vittime dell’emigrazione-emarginazione-esclusione diventano a loro volta i carnefici degli ultimi della terra. Una guerra tra poveri dove a beneficiarne sono quelli che stabiliscono i prezzi dei beni agricoli, che lucrano sulla distribuzione, per cui un chilo di arance viene pagato a 12 centesimi di euro sul campo e arriva a più di un euro nelle nostre tavole. Un sistema che fa comodo a tanti e che vede tutte le istituzioni o assenti o impotenti. A cominciare dall’Ispettorato del lavoro e dai sindacati che nei rispettivi ruoli dovrebbero contrastare lo scandalo di un salario di 20 euro al giorno per dieci-dodici ore di lavoro. Per non parlare della protezione civile che di fronte al rischio igenico-sanitario, determinato dalle bestiali condizioni di vita in cui sopravvivono questi migranti, avrebbe potuto intervenire da tempo. E cosa dire della Regione? In una intervista al Tg24 il presidente Loiero si è chiamato fuori denunciando l’assenza dello Stato. La giornalista, sorpresa, gli ha chiesto: «Ma lei chi rappresenta?».
Rosarno, Riace. Due facce di una stessa terra, due modi diversi di affrontare lo stesso fenomeno. Toccherebbe alla politica trovare una sintesi, promuovere le buone pratiche e ridurre la violenza “strutturale” dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Toccherebbe alla politica mettere insieme intorno a un tavolo i vari soggetti sociali coinvolti, compresi gli immigrati, per regolare un mercato selvaggio che colpisce innanzitutto la dignità umana e la nostra convivenza civile. Ma gli immigrati non votano, non hanno diritti civili, e le elezioni regionali sono alle porte e quello che conta è solo prendere voti, più voti possibili, in qualunque modo e da qualunque parte provengano.
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