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Sono state tutte mandate sotto processo le 23 persone indagate per falso e truffa aggravata – per via di sanatorie edilizie fittizie – ai danni del Comune di Catanzaro, raggirato per centinaia di migliaia di euro. Lo ha stabilito oggi il giudice dell’udienza preliminare Antonio Saraco, il quale ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero Alessia Miele. Gli imputati compariranno a partire dal 3 marzo prossimo davanti al tribunale, dove sarà presente anche il Comune di Catanzaro che è costituito parte civile con gli avvocati Nicola Cantafora e Massimo Scuteri. Si tratta di Pietro Cirene, 69 anni, Giuseppe Ciambrone, 38; Stefania Barberio, 34; Ramona Angela Cosentino, 23; Angelo Cosentino, 48; Antonella Concolino, 52; Saveria Scalzo, 36; Paolo Carlis, 41; Angelo Cacia, 50; Patrizia Cirene, 43; Sergio Barberio, 45; Maurio Barberio, 45; Francesco Minicelli, 38; Vanessa Aprile, 39; Immacolata Dolce, 52; Carlo Putrone, 61; Annamaria Puccio, 54; Massimo Froio, 49; Michele Critelli, 28; Pamela Critelli, 27; Antonio Gualtieri, 35; Elena Leone, 26; Rita Maletta, 41 (tra i difensori impegnati Antonio Rania, Valerio Murgano, Antonio Servino, Gianfranco Marcello, Giuseppe Pitaro, Novelliero). Tutti, secondo l’impianto accusatorio formulato dal sostituto procuratore Andreana Ambrosino, titolare delle indagini dei militari della sezione di Polizia giudiziaria della Guardia di Finanza partite nel 2006 in seguito ad alcune denunce, saranno processati per falso materiale, falso ideologico e truffa aggravata poichè, al fine di ottenere sanatorie edilizie, avrebbero presentato agli uffici comunali dell’Urbanistica documenti corredati di false ricevute di conti correnti postali destinati al pagamento di oneri concessori od oblazioni per il rilascio di titoli abitativi in sanatoria, inducendo così in errore i funzionari del Comune i quali rilasciavano la certificazione senza che, in realtà, fosse stato pagato quanto dovuto. I fatti contestati sarebbero stati commessi fra il 2004 e il 2007, e l’Amministrazione sarebbe stata raggirata per cifre che andavano dai 610 ai 26.906 euro. Somme di una certa importanza, che normalmente non si tengono in casa, ma rispetto alle quali, ha evidenziato il pm, gli indagati non hanno dato prova del pagamento attraverso bancomat o carte di credito, o assegni, e neppure di prelevamento in banca ove mai fossero state pagate in contanti. Infine, ha sostenuto l’accusa, gli uffici postali cui fanno riferimento i bollettini sono troppi e sparsi sul territorio per poter affermare che le somme possono essere state pagate regolarmente dagli indagati ma intascate da dipendenti infedeli.
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