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di MARIA FREGA
ROMA – Caso chiuso. La nave dei veleni non è la nave dei veleni. La rassicurazione è arrivata ieri pomeriggio dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, intervenuta in una conferenza stampa presso la Direzione Nazionale Antimafia a Roma. E’ stato proprio il procuratore Piero Grasso a dare i dettagli dell’ “Operazione Cetraro” che, dopo 47 giorni di indagini, ha portato a conclusioni definite «certe e rassicuranti». Il relitto a largo della costa tirrenica non è la Kuski e non contiene bidoni di rifiuti tossici. L’incontro con la stampa è stato anticipato di una giorno per chiarire dettagli che già circolavano, ma soprattutto per dare quella che la Prestigiacomo definisce «una buona notizia». E per rassicurare i calabresi e la gente di Cetraro, «le vere vittime – secondo Grasso – dell’intera vicenda». In fondo al mare di Cetraro non c’è traccia di rifiuti tossici e non si registra radioattività. «Gli esiti degli accertamenti preliminari – ha proseguito il procuratore – sono certi e devono servire a dissipare i dubbi dei calabresi che si sentono in pericolo».
Cosa c’è dunque al largo delle coste calabresi? Si tratta, ha precisato la Prestigiacomo , del piroscafo Catania, «costruito nel 1906 a Palermo e affondato durante la prima guerra mondiale». Il siluro che l’ha colpito e affondato ha aperto uno squarcio verso l’esterno, provocando un danno che ricorda il risultato di una esplosione. Ma non sarebbe stata una strage: i passeggeri sarebbero stati evacuati prima del bombardamento, com’era uso – dice Grasso – durante le operazioni belliche dell’epoca.
Le immagini, fornite dal Reparto Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto mostrano dettagli che presto verranno perfezionati e diffusi. Intanto, lungo la fiancata sinistra e a poppa del relitto, sono chiare le lettere in rilievo che formano il nome del piroscafo. Un altro dettaglio è stato fornito per dissipare il dubbio sull’esistenza di bidoni contenenti rifiuti pericolosi o materiale radioattivo. Il fusto che sembra fuoriuscire dal relitto, secondo il coordinatore della missione Federico Crescenzi, Capo del Reparto Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto, «è un pezzo di manica a vento, la parte cilindrica di un grosso camino per la ventilazione».
L’ “Operazione Cetraro” è consistita nell’individuazione e identificazione del relitto e del relativo carico rinvenuti in seguito alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti. Oltre alla manica a vento, le investigazioni hanno rilevato al presenza di numerose cabine, tipiche delle navi passeggeri, e alcuni interni, come una sala da bagno e altri arredamenti in legno. La contestuale misurazione dei livelli di radioattività ha avuto esito negativo.
Secondo il procuratore Lombardo, intervenuto all’affollato incontro con la stampa, «dopo gli immediati contatti con le autorità e con il Comando Generale della Capitaneria di Porto, e dopo gli accertamenti, si è giunti alla certezza sull’identità della nave del carico».
E così crollano di colpo tutte le rivelazioni di Fonti. E’ stato Borrelli, viceprocuratore di Catanzaro, a chiarire il ruolo del collaboratore di giustizia alla luce delle novità. Secondo Borrelli, fin dalla prima volta che era stato ascoltato, nel 2006, «non vi era assoluta certezza sui nomi di nessuna delle navi che indicava come affondate. Addirittura, vi sarebbe una terza nave che ha localizzato in un tratto di costa che va da Metaponto a Melito Porto Salvo, e sono oltre 300 km . Bisogna inoltre chiarire che Fonti non ha mai associato i rifiuti della nave con il presunto sotterramento di rifiuti simili presso il fiume Oliva». Anche secondo Pignatone, procuratore di Reggio Calabria, il pentito è – ormai – «inattendibile per quanto riguarda questa vicenda». Del resto, ha aggiunto, «ha una precedente condanna in giudicato per calunnia e si afferma, perciò, il principio secondo cui i collaboratori vanno valutati volta per volta».
Caso chiuso, dunque. Ma è lo stesso Grasso a ricordare che il caso dell’inquinamento terrestre e marino, in Calabria, è ancora aperto e anticipa l’avvio di nuove indagini. La Prestigiacomo ha annunciato che partiranno le verifiche sull’inquinamento a terra: «speriamo di non trovare radioattività come a mare».«Perché non accettare l’esito di questi accertamenti?» è la domanda che il procuratore nazionale rivolge ai calabresi, esortandoli a recuperare la fiducia nelle istituzioni «che stanno collaborando anche con la magistratura in piena trasparenza».
Il ministro Prestigiacomo, in conclusione, ha ricordato l’impegno del governo, che «ha speso 40 mila euro al giorno per operare, ma era giusto. Combattere le ecomafie è la mia priorità». Ma avverte: «In futuro mi aspetto maggiore senso di responsabilità e più prudenza da parte di alcuni sindaci e amministratori locali. Questa notizia ha creato allarme, ha messo in ginocchio la pesca calabrese e a rischio il turismo di questa terra meravigliosa. Ora bisogna agire con cautela». E Grasso ha parlato di una vicenda giornalistica «irresponsabile» perchè non sono stati trovati riscontri agli allarmismi diffusi.
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