2 minuti per la lettura
Sono chiuse le indagini scaturite dall’operazione «Ghibli» scattata la notte del 20 aprile scorso tra la Calabria e l’Emilia Romagna per l’esecuzione di 20 ordini di custodia cautelare in carcere e numerosi sequestri per un valore di 30 milioni di euro, e diretta a ricostruire la sanguinosa guerra dei clan crotonesi degli Arena e dei Nicoscia. Il magistrato titolare delle indagini del Ros dei Carabinieri, Sandro Dolce, ha emesso un avviso di conclusione delle indagini per 38 persone, cui sono contestati complessivamente l’associazione mafiosa, e numerosi reati connessi – soprattutto in tema di armi, nonchè di riciclaggio ed intestazione fittizia di beni -, tra i quali l’omicidio di Pasquale Nicoscia, avvenuto l’11 dicembre 2004, che sarebbe stato la risposta al precedente assassinio di Carmine Arena, a sua volta ucciso in un attentato portato a termine con l’uso di un bazooka, a seguito del quale rimase gravemente ferito anche Giuseppe Arena, nipote del primo; ed il tentato omicidio di Domenico Bevilacqua, più noto come «Toro seduto» e considerato uno dei capi della criminalità zingara catanzarese, uscito miracolosamente vivo da un agguato che avvenne a Catanzaro Lido il 4 aprile del 2005, secondo gli investigatori come «punizione» per i tentativi di Toro seduto di rendersi autonomo rispetto alla cosca catanzarese, storicamente sottoposta agli Arena. Il blitz «Ghibli» fu l’epilogo di indagini partite nel lontano 2004, rispetto alle quali il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Dolce – oggi sostituto procuratore generale -, aveva avanzato due distinte richieste cautelari, una nel 2007 e una nel 2009. L’indagine fu descritta dai vertici della procura catanzarese come un’attività «particolarmente importante, che ha consentito di chiarire le dinamiche che hanno portato ai nuovi assetti criminali nel crotonese, confermando le mire della ‘ndrangheta di quella zona non solo verso il catanzarese, ma anche fuori dalla Calabria». L’operazione confermò due importanti aspetti «investigativi», anzitutto la potenza militare delle cosche aggredite con «Ghibli», che hanno dimostrato la disponibilità di una impressionante quantità di armi e dunque la pervasività e l’altissimo potere intimidatorio che esse esercitano. Ed inoltre la capacità imprenditoriale delle cosche, riscontrata dalla lunga serie di attività commerciali sequestrate, e tutte le altre attività di cui sarebbe risultata provata la gestione da parte della criminalità (tra i numerosi beni sequestrati, figurano tante attività imprenditoriali, ed una lunga lista di ville ed appartamenti almeno 18 dei quali, riconducibili al gruppo Gentile, sequestrati a Milano). Tra i beni cui ad aprile furono apposti i sigilli c’erano anche il famoso hotel a cinque stelle «Il Corsaro» di Isola Capo Rizzuto – ristrutturato grazie ad un finanziamento pubblico ottenuto con la legge 488/92 da 750.000 euro -, la discoteca «Tropicana», che sorge vicino ad esso, due lavanderie industriali che si trovano in capannoni di circa 2.000 metri quadri ciascuno, diverse imprese tra cui una edile, una ortofrutticola, una di attività informatiche, quote societarie, polizze assicurative, rapporti bancari, numerosi autoveicoli – molti dei quali blindati -, e svariati appartamenti e ville, 18 dei quali si trovano a Milano.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA