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di GIUSEPPE DE BARTOLO*
IL 30 luglio scorso, come avviene ormai da molti anni, l’Istat ha pubblicato il rapporto sulla povertà basato sui risultati campionari di 28mila famiglie estratte casualmente in modo da rappresentare il totale delle residenti in Italia. Nel 2008, sulla base di questi risultati, si stima che 2 milioni 737mila famiglie in Italia si trovano in condizioni di povertà relativa, pari a 11,3% delle famiglie residenti, per complessivi 8 milioni e 78mila individui poveri (13,6% dell’intera popolazione italiana). Queste stime vengono calcolate sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi, valore al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è rappresentata dalla spesa media mensile per persona che nel 2008 è risultata di poco inferiore a 1000 euro. Tale linea si sposta di anno in anno a causa della variazione dei prezzi al consumo, e infatti nel 2008 la linea di povertà si è innalzata di 13 euro. Il valore della linea di povertà per famiglie di ampiezza diversa si ottiene attraverso una opportuna scala di equivalenza. In Italia negli ultimi quattro anni la percentuale di famiglie relativamente povere è rimasta sostanzialmente stabile e immutati sono risultati i profili delle famiglie povere. Il fenomeno, secondo tale indagine, continua invece a essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno dove l’incidenza di povertà relativa, ovvero il rapporto % delle famiglie povere rispetto a tutte le famiglie, è quasi cinque volte superiore rispetto al resto del paese (23,8% nel Mezzogiorno, 4,9% nel Nord, 6,7% nel Centro); la povertà è maggiormente diffusa tra le famiglie di più ampie dimensioni e tra quelle che hanno i figli minorenni: addirittura nel Mezzogiorno l’incidenza di povertà tra le famiglie con tre o più figli minori è del 38,8% contro un valore medio nazionale del 27,2%! L’Emilia Romagna è la regione con la più bassa incidenza di povertà, pari al 3,9%, seguita da molte altre regioni del Nord, mentre la situazione più grave si osserva in Sicilia e Basilicata entrambe con un valore di incidenza del 28,8%. Seguono la Campania e la Calabria con il 25% e infine la Puglia con il 18,5%. La Calabria si distingue in negativo per aver avuto rispetto al 2007 un aumento di incidenza di oltre due punti percentuali. Un secondo aspetto è la valutazione della povertà assoluta la cui soglia è stabilita nella spesa minima necessaria per acquisire beni e servizi essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. La soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. Di conseguenza, le soglie di povertà assoluta non vengono definite solo rispetto all’ampiezza familiare (così come viene fatto per la povertà relativa), ma sono calcolate per ogni singolo tipo di famiglia, in relazione alla zona di residenza, al numero e all’età dei componenti. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia vengono classificate come assolutamente povere. Così per esempio nel 2007 per una famiglia di due componenti tra i 18-59 anni che vivono nel Nord in un’area metropolitana la soglia è di 1000 euro al mese, nei grandi comuni è di 959,34 al mese, nei piccoli comuni 912,19. Nel Mezzogiorno tali soglie scendono rispettivamente a 764,26, 742,36 e 704,66. Nel 2008 in Italia vi erano 1 milione e 126mila famiglie (pari al 4,6% delle famiglie residenti) in condizione di povertà assoluta per un totale di 2 milioni e 893mila individui, ovvero il 4,9% dell’intera popolazione. Dunque, una frazione non trascurabile di persone vivono in condizione di forte deprivazione con una distribuzione ovviamente squilibrata da Nord a Sud. Le persone in povertà assoluta al Nord sono risultate 848mila, al Centro 359, nel Mezzogiorno 1 milione e 686mila. Recentemente l’analisi della povertà si è arricchita di ulteriori evidenze, grazie a una ricerca della Fondazione per la sussidiarietà, con l’introduzione del concetto di povertà alimentare. Secondo quest’approccio in Italia vi sarebbero addirittura 3 milioni di persone che vivrebbero sotto la soglia di povertà alimentare, ovvero il 4,4% di tutte le famiglie residenti in Italia soffrirebbe la fame. Sarebbero 1,5 milioni le famiglie con difficoltà ad acquistare i prodotti necessari per vivere: pane, pasta e carne. Il 10,3% delle coppie con tre o più figli e l’1,7% dei single vivrebbero sotto tale soglia di povertà alimentare, risultata di 222,29 euro al mese. Questo limite di allarme indigenza varia da regione a regione. Nelle regioni del Nord oscilla da 233 a 252 euro. In quelle del Centro da 207 a 233 euro. In quelle del Mezzogiorno da 196- 207 euro. I divari fra Nord e Sud sono preoccupanti. Il 3% “soffre” la fame in Toscana, Liguria, Veneto e Trentino Alto Adige. In Sardegna tale valore sale addirittura a 11%, in Sicilia e Calabria al 10%; cioè nella nostra regione 200mila persone farebbero fatica a trovare i soldi per mangiare! I poveri sono meridionali, disoccupati, con un titolo di studio basso e una famiglia numerosa. Che fare per far fronte a questa emergenza che sia l’Istat che la Fondazione per la sussidiarietà hanno evidenziato e che nei prossimi anni sarà più grave quando le conseguenze della crisi economica dispiegheranno appieno i loro effetti? Certamente nell’immediato sarebbe indispensabile un rafforzamento delle strutture sociali pubbliche e private che operano nel territorio, poi si dovrebbe ripensare a un piano più efficace di trasferimenti sociali che oggi si attesta ad appena un misero 1,7% del Pil, quota tra le più basse dell’Ue e come sappiamo spesa anche male.
*ordinario di demografia Unical
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