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di ENZO ARCURI
È proprio vero che al peggio non c’è mai fine e che talvolta la realtà supera la fantasia. Questa allucinante vicenda della nave fatta affondare al largo di Cetraro con il suo carico micidiale di rifiuti tossici e forse radioattivi e di quelle affondate più a nord e nel mare Jonio, se sono vere le ricostruzioni lette sui giornali e ricavate dalle confidenze di un pentito, apre uno scenario a dir poco inquietante sugli intrecci perversi costruiti e consumati ai danni della Calabria e sulla pelle dei cittadini di questa regione disgraziata. L’enigma dei veleni nascosti nei fondali del mare calabrese, se sciolto, potrebbe, si è detto fra le molte altre cose, svelare i molti misteri che a distanza di tanti anni circondano ancora l’assassinio di Ilaria Alpi e del suo operatore trucidati vigliaccamente nel corno d’Africa. I genitori della giovane e coraggiosa giornalista del TG3 e gli stessi colleghi di Ilaria, sottolineando alcune stranezze di quell’agguato e soprattutto la superficialità dell’inchiesta che fra l’altro non ha indagato fino in fondo sulla sparizione del taccuino della giornalista e sulle testimonianze di alcuni inquietanti personaggi di quel paese, avevano puntato il dito sui servizi segreti. Ed ora si viene a sapere che forse i servizi avevano stretto un patto con la ’ndrangheta di S. Luca per fare sparire questa nave imbottita di fusti pieni di veleni, che aveva fatto il giro del mondo e che adesso sarebbe stata localizzata sui fondali a 500 metri di profondità ad una manciata di miglia dalla costa di Cetraro. Finora di rifiuti nocivi smaltiti in Calabria si era parlato per ipotesi, teoremi enunciati da chi evidentemente aveva con attenzione analizzato questa business miliardario ma che invano qualcuno, come il giudice Neri di Reggio, aveva cercato di esplorare. L’intuizione, suffragata evidentemente da una serie di coincidenze e di anomalie, nasceva dalla constatazione che il territorio calabrese, con le sue montagne, l’Aspromonte in particolare ma non solo, fosse diventato la pattumiera d’Italia e forse d’Europa. Qualcuno, dopo il naufragio nella zona di Amantea della Jolly Rosso ( un’altra vicenda ancora avvolta dal mistero, nonostante una lunga ed inconcludente inchiesta della magistratura), aveva parlato anche di imbarcazioni fatte affondare al largo delle coste calabresi. A rendere questa intuizione abbastanza verosimile era (e rimane) la presenza, su fette sempre più estese della regione, della ’ndrangheta, di una criminalità organizzata spregiudicata, che colpevoli distrazioni quando non si è trattato di vera e propria complicità (come la vicenda delle navi autorizzerebbe ad accreditare) hanno fatto crescere e rafforzare fino a farla diventare l’organizzazione criminale più ramificata e finanziariamente più forte d’Europa. Ed ora la Calabria è costretta a fronteggiare una nuova emergenza, probabilmente fra le più gravi, destinata a rendere ancora più acuta la crisi calabrese per le pesanti ricadute che presumibilmente danneggeranno il comparto della pesca elemento essenziale in diverse aree della regione e soprattutto il turismo costiero, settore trainante della pur fragile economia regionale già afflitto da altre ben note criticità. E’ una tegola micidiale che, a prescindere dalle conseguenze sull’economia regionale, rende inquieti i cittadini calabresi, i quali non vogliono convivere con scorie e rifiuti che inquinano le loro montagne e le loro campagne o che giacciono sui fondali dei loro mari. “Vogliamo sapere, abbiamo bisogno di verità, lo pretendiamo per la nostra serenità e per il futuro dei nostri figli, perché vogliamo essere certi che il pesce acquistato nei nostri mercati non contiene sostanze nocive, che l’acqua dei nostri rubinetti non è inquinata, che l’aria che respiriamo non veicola pulviscolo radioattivo, che il bagno nei nostri mari non comporta alcun rischio”. Lo dicono e lo ripetono in tanti, fortemente preoccupati per le notizie che leggono o ascoltano in televisione. Ritenere, come qualcuno sostiene, che fare chiarezza sul groviglio di misteri che circonda la vicenda delle navi e l’infossamento chi sa dove di rifiuti nocivi, a prescindere dall’azione investigativa della magistratura (che questa volta non dovrebbe arrendersi ed alzare bandiera bianca), possa e debba farlo la Regione, è fuorviante ed è una fastidiosa strumentalizzazione che tenta di scaricare le responsabilità. Certo la Regione deve fare la sua parte ed ha già cominciato a farla, almeno pare, fornendo alla magistratura di Paola il robot che ha consentito di scoprire e localizzare la nave maledetta e approntando un piano di interventi per fare fronte al fermo dell’attività ittica. La Regione può fare di più e c’è da incalzarla perché lo faccia, aprendo, per esempio, una vertenza a tutto raggio con il governo nazionale. Perché il contributo più decisivo e determinante deve venire da Roma, dalla presidenza del Consiglio e dal ministero dell’Ambiente. Finora i segnali arrivati dalla capitale non sembrano incoraggianti. C’è stata finora un’evidente sottovalutazione della situazione. Non è che si vuole menare il can per l’aia, come si dice, non è che nei palazzi romani (e per riflesso nei loro terminali sul territorio) prevalga l’interesse inconfessabile di chi vuole tenere sotto traccia questa ingarbugliata e maledetta matassa per proteggere i responsabili di questo gravissimo attentato alla salute di una intera regione. Il rischio c’è e non è azzardato ipotizzarlo, se è vero, come ha raccontato il pentito di ‘ndrangheta, che la nave affondata al largo di Cetraro dalla mafia conterrebbe rifiuti tossici provenienti dall’Enea e dall’Eni, enti pubblici o a partecipazione statale, che certo potrebbero ricorrere ad ogni mezzo (e di mezzi ne hanno a iosa) per evitare che si arrivi alla verità, una verità per loro quanto meno imbarazzante. Dunque la strada verso questa verità è tutta in salita e che salita. Ed allora la partita richiede un impegno corale che coinvolga, con la regione, la società civile, le istituzioni locali, la deputazione parlamentare, tutta la deputazione di destra, di sinistra e di centro, che non può restare a guardare e ha il dovere di attivare tutti gli strumenti a disposizione. Di mezzo questa volta ci sono non solo settori importanti dell’economia regionale, ma soprattutto la salute di milioni di persone. Anche quelle delle future generazioni.
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