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Resta in carcere Aurelio Notarianni, 46 anni, arrestato i primi di agosto, insieme al fratello Aldo, 44 anni, con l’accusa di omicidio in concorso premeditato ed aggravato dall’aver agito con crudeltà.
Lo ha deciso il Tribunale del riesame di Catanzaro che ha respinto istanza dei suoi difensori. Notarianni è accusato insieme al fratello di avere, in concorso materiale e morale tra loro e con altri soggetti in via di identificazione, dell’omicidio di Roberto Amendola (in foto), il giovane di 23 anni, ucciso con due colpi di pistola calibro 38 e poi bruciato la sera del 13 novembre del 2008.
Per lo stesso reato fu tratto in arresto anche Domenico Giampà, 28 anni.
Aurelio Notarianni fu rimesso in rimesso in libertà il 21 agosto dal Tribunale del riesame di Catanzaro, e poi fu di nuovo arrestato in esecuzione di una ordinanza di fermo emessa dal sostituto procuratore Elio Romano, fermo poi convalidato dal giudice delle indagini preliminari il 24 agosto scorso nei confronti di Aurelio Notarianni «sussistono gravi indizi colpevolezza».
Il tribunale del riesame, nel respingere l’istanza dei difensori, ha confermato le tesi dell’accusa, ritenendo valide le motivazioni che hanno indotto la procura della Repubblica ad emettere un altro fremo di indiziato di delitto nei confronti del Notarianni. Secondo l’accusa Notarianni avrebbe materialmente commesso il diletto, mentre Giampà, secondo gli elementi raccolti dalla speciale squadra investigativa del nucleo radiomobile dei Carabinieri, sarebbe la persona che Amendola, prima di essere ucciso, incontrò e fece salire sulla sua auto, in Via Murat, e che lo accompagnò davanti alla casa dei Notarianni. Giunto sul luogo dell’appunto a bordo di una Lancia Y, di proprietà della madre, Amendola fu raggiunto da due colpi di pistola.
Poi l’auto sulla quale fu trovato carbonizzato fu trasportata in un altro luogo e data alle fiamme. La vettura, con all’interno il corpo del giovane, fu abbandonata a pochi metri dalla strada interpoderale, in via dei Bruzi sotto un albero di Ulivo, in piena aperta campagna. Secondo quanto è stato accertato nel corso dell’indagine, Amendola, quando fu dato alle fiamme, era ancora vivo.

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