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di PARIDE LEPORACE
Nella mia attività di cronista ho sempre nutrito non pochi dubbi sull’ attendibilità del pentito di ndrangheta Francesco Fonti da Bovalino. Ho spesso rievocato anche dalle colonne di questa testata alcuni mirabolanti e improbabili incontri di questo collaboratore di giustizia.Il ritrovamento del relitto di una nave al largo delle coste di Cetraro pone la qualità del pentito in uno scenario diverso, che merita nuove valutazioni. Fonti a mio parere è uno che sa molte cose nell’ambito di una torbidissima vicenda che ha registrato morti sospette (la giornalista Ilaria Alpi e l’ufficiale De Grazia) e dispensato polpette avvelenate a molti investigatori e magistrati.
SI è tentato di bruciare un integerrimo inquirente come Francesco Neri ed è stato fatto fuori un agente del Sismi che operava in Lucania. Il ritrovamento del relitto (ancora non sappiamo se si tratta del Kunsky) s’innesta ad un passaggio investigativo cruciale non bene valutato in queste ore. Il Quotidiano della Basilicata oggi è in grado di fornire il resoconto di un decisivo interrogatorio a Fonti fatto dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza. Parliamo di atti ufficiali, non del memoriale privato del pentito pubblicato dall’Espresso due anni fa per non far cadere nella polvere la scottante vicenda. “Ciccillo”, comunque, non perde l’abitudine di tirare fuori nomi roboanti. Parlando di vicende lucane alle domande sulla politica non esita a chiamare in causa Emilio Colombo. Ma quel dato non è rilevante e non dimostra nulla contro il maggior politico lucano del secondo dopoguerra. Quell’interrogatorio è svolto con tecnica intelligente. Sviscera questioni nodali. Appura, riscontra, indaga. Il collaboratore entra in sintonia con l’inquirente. Chi conduce l’indagine è una donna. Fonti resta perplesso quando le appare all’interrogatorio di Bologna. Le spiega che le vicende sono «pericolose». Ma quel magistrato fa il suo mestiere. Si chiama Licia Genovese, sostituto della procura distrettuale di Potenza. E’ lei che attua passaggi decisivi in questa storia. Il 14 aprile del 2004 dal suo ufficio scrive a Vincenzo Macrì della Direzione nazionale antimafia, magistrato serio ed integerrimo. Uno che probabilmente non si fida di Fonti. Licia Genovese in merito a un traffico di rifiuti radioattivi avvenuto in territorio di Rotondella – tra il 1987 e il 1995 – con copyright criminale ndranghetista informa che le dichiarazioni da lei apprese e trascritte nei verbali «appaiono, alla luce dei primi accertamenti effettuati, credibili e sicuramente rilevanti per le indagini in corso». Inoltre Felicia Genovese ha trovato riscontri. Elemento chiave. Li hanno forniti le inchieste dei carabinieri e del corpo forestale. Ma anche le dichiarazioni di Guido Garelli. Una fonte diversa da Fonti quella di Garelli. In contatto con ambienti militari. Nei suoi verbali si trovano a stretto contatto uomini di affari libici, scambi di armi e rifiuti con la Somalia. A suo dire nel centro di Rotondella per 17 anni si è svolta un’attività non autorizzata. Parliamo di uranio arricchito necessario per le bombe atomiche. Informative della Forestale, una sentenza della procura di Matera coincidono e convergono con quello che dice Garelli. La Genovese alla luce di queste risultanze ritiene di informare ufficialmente il collega Pace che si è trasferito a Trieste e che aveva iniziato le inchieste a Matera. Ma il sostituto fa anche altro. Con una nota riservata chiede attenzione e interesse sul pentito Fonti al presidente della Commissione centrale per i programmi di protezione, al capo della polizia, al procuratore nazionale antimafia e al procuratore generale della Repubblica. Inoltre si preoccupa di intervenire presso il ministero per far ottenere un ricovero in ospedale per Fonti, detenuto a Torino, per essere sottoposto ad un intervento chirurgico molto delicato. La collaborazione di Fonti è piena e non si può rischiare che muoia in una prigione. La Genovese va avanti. Sente Angelo Chimienti che indica la pista irachena dell’Enea e riferisce degli atti secretati seppelliti a Reggio Calabria. I riscontri dell’ottimo lavoro sono rintracciabili anche negli atti pubblici redatti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti nell’audizione di Felicia Genovese il 26 gennaio 2005. In quell’occasione i parlamentari hanno la possibilità di sapere della rielaborazione degli atti originari di Matera. Apprendono di una consulenza tecnica raffrontata con dichiarazioni di personale del Centro Enea di Rotondella. Positivi anche gli esiti dei sopralluoghi e dei controlli. Il magistrato afferma in quella sede che a suo parere a Rotondella c’è stato «un traffico non autorizzato di materiale radioattivo». Dice anche il magistrato potentino: «L’attività di indagine, complessa per varie ragioni, è attualmente in corso». Il percorso di Licia Genovese sarà interrotto da un’altra vicenda chiamata “Toghe lucane”. La guerra della magistratura blocca l’inchiesta sul nucleare. Noi non abbiamo ovviamente prove, né pensiamo che chi si mosse in quello scontro abbia avuto interesse su quelle gravi vicende. Alcuni elementi che approfondiremo in futuro ci inducono a ritenere che manine e barbe finte possono essere state capaci di adoperare “Toghe lucane” per abbissare navi, rifiuti e piste internazionale nel circuito delle inchieste morte. A pensare male a volte ci si azzecca. Uno scenario possibile. Da non trascurare. Per chi lo ha dimenticato Licia Genovese è stata trasferita dal Csm da Potenza ad altra sede. Una verità inoppugnabile è che è stata lei ad ottenere preziosi riscontri dalla collaborazione di Francesco Fonti.

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