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La figurina con la maglia della Juventus davanti agli occhi, mentre un tram mi attraversa la strada, proprio a Cinisello. Dietro le spalle il manifesto del Torneo. Ho questa immagine davanti agli occhi, di un giorno del 2007. Quel giorno ho sentito, dentro di me, che dovevamo scrivere una fiction su Gaetano Scirea, e sono corso a dirlo al mio amico Paolo. Quel giorno stesso abbiamo cominciato, nello scetticismo generale, a scrivere. Non sapevo ancora di percorrere le stesse strade che da ragazzo faceva il nostro Campione, perché ero da poco a Cinisello, studente dello Sperimentale appena sfrattato da una casa in fitto a Pero. Spiegare come è nato il progetto va oltre il mondo della logica. C’entrano di più emozioni, sensazioni e ricordi, e il silenzio degli anni già passati, che vivevo come una sfida. Volevo che un calciatore a parole amato da tutti, e in realtà poco capito in vita, rivivesse. Così, leggendo notizie della sua vita, cercando i numeri dei suoi compagni e dei familiari per fare interviste, e facendomi raccontare particolari, paure, speranze, ho capito che potevamo vincere la scommessa e riuscire a costruire attraverso una persona, e la sua storia d’amore con una donna, un mondo e un’epoca del nostro Paese, dando dignità narrativa al calcio. “Scirea”, ora si può dire, sarà davvero una fiction, prodotta e diretta da Claudio Bonivento, impegnatissimo sul set romano del film sulla strage di Nassiriya “Venti sigarette”. e sceneggiata da una squadra formata da Paolo Spotti, e Claudia Carlino, e appunto, da chi vi scrive. “Il Quotidiano della Basilicata”, può oggi rivelarlo prima dell’annuncio ufficiale alla stampa, fissato la sera della finale del “Memorial Scirea”, il 6 settembre, a Cinisello Balsamo. E mentre Bonivento, che ha creduto nel sogno di due ragazzi appena usciti dal Centro Sperimentale di Milano, e come al solito incoraggia con discrezione, rilegge, fa sopralluoghi e butta giù piani di produzione. Ecco dunque le impressioni dei miei compagni di viaggio, di chi ha scritto, rivisto, rilanciato la narrazione di “Scirea”. Paolo Spotti mi dice che lavorare al progetto è stata «Un’ esperienza straordinaria, un collage tra storia sportiva e sentimenti forti come l’amicizia, fatto attraversando passioni e antagonismi che si incrociano alla figura di un uomo unico. Per raccontarlo, abbiamo dovuto calarci in una ritrovata dimensione etica della vita, basata sulla lealtà e l’agonismo, sullo scontro duro, ma sincero. Scrivendone, siamo passati in oltre un anno e mezzo, dai titoli, che cambiavano di giorno in giorno, alle scene di una storia sempre più matura, fatta di conflitti, sfide rilanciate, e voglia di andare avanti, sempre, con la forza delle cose semplici. Il nostro film non avrà solo grandi scene da portarsi dentro, ma anche la straordinaria normalità delle piccole immagini: un pollo lanciato in aria, per la gioia inattesa di una convocazione, una partita a carte tra compagni di squadra guardati a vista dalla polizia militare in Argentina, un bicchiere di vino per vincere la timidezza e rivelare a una donna l’amore. Scrivere di sport significa raccontare gli attimi: credo non ci sia cosa narrativamente più forte dello sport, quello vero, però, per dare senso al tempo delle emozioni. Questo credo che sarà il nostro “Scirea”.» Claudia Carlino non è solo la mia compagna di vita. Ha collaborato con rigore alla stesura del trattamento e del soggetto, editando, inventando soluzioni, dando ritmo alla storia, e cogliendone gli aspetti psicologici: «Mi ha interessato più di ogni cosa l’aspetto privato del racconto, l’umanità di Scirea, che evoca, a distanza di anni, l’immagine di un Campione, un calciatore che non voleva apparire, davanti a una generazione di giovani in gran parte juventina. Ha sorpreso anche noi che al solo nominarlo, a vent’anni dalla sua scomparsa, resti un nome associato a sorrisi e ricordi comuni di persone diverse, anche non appassionate di calcio. Un pezzo di memoria condivisa. Scoprire il suo modo di vivere, la sua apparente normalità, che poi era vera ricchezza, lontano dagli stereotipi del calcio, me lo ha fatto amare. Era un calciatore che sceglieva la famiglia per rilassarsi, accompagnava il figlio a scuola, andava in trattoria, senza fare il divo, ed è così che lo vedremo sullo schermo.»
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