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di SALVATORE SANTORO
Salvatore Adduce è pronto per la sfida congressuale. Fu uno dei primi che già a febbraio scorso si schierò con Pierluigi Bersani. L’occasione fu offerta da un’intervista che il Quotidiano chiese all’ex parlamentare Adduce per parlare della candidatura alla presidenza della Provincia di Matera. E Salvatore Adduce già allora anticipò l’intenzione di correre a livello congressuale. Il tempo è trascorso e oggi, il presidente dell’Agrobios è uno dei candidati segretari lucani per la mozione di Bersani. Candidato qual’è il motivo della sua sfida congressuale?
«L’ho deciso in tempi non sospetti. A febbraio salutai molto positivamente la decisione di Bersani. Evidenziai le difficoltà piuttosto serie che si stavano accumulando nella politica del Partito democratico che da lì a pochi giorni portarono alle dimissioni di Veltroni. In qualche modo dal profondo Sud un dirigente come me metteva in evidenza i problemi che poi si sono palesati nei mesi successivi e che hanno avuto il loro riflesso a livello regionale quando il segretario regionale, Lacorazza decise di candidarsi alla presidenza della Provincia. La situazione che si andava delineando era di grande difficoltà: non si intravedeva una linea precisa da mettere in campo per realizzare una ripresa del rapporto con le fasce sociali che a noi fanno riferimento. La mia candidatura diventa quindi un fatto naturale proprio considerato che in tempi non sospetti ho posto in evidenza queste difficoltà, queste carenze, questi vuoti che si erano determinati nel Pd».
Entriamo nel merito delle questioni più delicate, I problemi che ci sono nel Pd lucano, sono riconducibili solo a uno scontro generazionale e a un ricambio della classe dirigente?
«Penso proprio di no. Anzi sono dell’avviso che non è moltiplicando all’infinito l’aggettivo nuovo che si introducono novità vere. Qualunque tipo di innovazione la si fa puntando a rinnovare attraverso un intreccio intergenerazionale che serve ovviamente a offrire ai cittadini una forza politica capace di interpretare la complessità e le esigenze dei territori. Le esperienze più interessanti di rinnovamento sono quelle in cui il patto generazione accompagna il rinnovamento vero».
Un falso problema allora?
«Stressare questo tema, a mio modo di vedere, è contro producente. Il Pd ha bisogno di una ripartenza come dice lo stesso Bersani. Bisogna ripartire dopo una serie di sbandate e ubriacature che hanno provocato conseguenze nefaste sul piano nazionale e un poò meno a livello regionale dove siamo riusciti a tamponare queste situazioni. Ma non è una situazione che ci può lasciare tranquilli».
Ma una parte del Pd lucano, con Roberto Speranza candidato segretario, punta decisamente sulla necessità di autoriformare il partito.
«Io sento nelle argomentazioni dell’altro candidato della Bersani, Speranza l’eco di un veltronismo declinato in modo diverso, ma con una sostanziale condiscendenza verso argomenti che sono nell’altra mozione e cioè quella di Franceschini. Mozione che obiettivamente tende a una continuità tra la gestione di Veltroni e quella del suo secondo Franceschini. E sono argomenti che vengono esattamente utilizzati contro la mozione Bersani. Per me quindi non è comprensibile che gli stessi argomenti vengano utilizzati da un candidato dell’area Bersani. Speranza dovrebbe aver chiaro che la candidatura di Bersani si inquadra esattamente in un tentativo di piegare più il partito verso la consapevolezza della caducità della politica di Veltroni e della necessità invece, di affrontare le questioni concrete, i problemi quotidiani».
Speranza dunque per lei non è bersaniano?
«La mia è un obiezione a Roberto. Volendola sintetizzare è questa: lo vedo più veltronista che bersaniano per gli argomenti che utilizza proprio sull’aspetto del cosiddetto rinnovamento».
Non esiste la necessità di rinnovare?
«Credo che stressando l’argomento e utilizzarlo a ripetizione si rischia di far perdere l’orientamento. Il gruppo dirigente che negli ultimi 15 anni ha atteso alla direzione politica del centrosinistra ha creato questo partito che oggi è a disposizione di Speranza e di tutti i giovani. Il Pd è il frutto di un lavoro strenuo fatto negli ultimi 15 anni. Un lavoro che ha premiato anche sul piano nazionale. Un lavoro che a livello regionale ha premiato quasi sempre, e che ha saputo anche sul rinnovamento giocare carte splendide. Insomma noi nel 2000 abbiamo avuto un presidente di Regione, Bubbico, che aveva 45 anni, e dopo 4 anni De Filippo aveva poco più di 40 anni. Abbiamo un’intera batteria di responsabilità dentro il partito e nelle istituzioni che si sono realizzate con i cosiddetti quarantenni».
E quindi qual è il problema?
«La mia preoccupazione è che mentre si sta utilizzando troppo questa storia del nuovo non si riesce realmente a rinnovare. Penso che questo argomento sia la classica “pezza a colore”. Serve a nascondere altri obiettivi».
Quali?
«Voler fare terra bruciata degli attuali dirigenti. Ma non capisco poi per mettere quali dirigenti. Questo argomento rischia solo di non farci pensare ai problemi reali che il Pd ha incontrato».
Cioè?
«L’aver rinunciato alla costruzione di un vero e proprio partito a livello nazionale e regionale. Perché un partito vero non solo costruisce un’organizzazione di circoli ma li mette realmente nelle condizioni di contare. Un partito vero ha un rapporto costruttivo tra centro e territorio. E’ indispensabile che il tipo di relazione che ci deve essere, e che non c’è stata, tra il centro e i vari territori sia non evanescente e non sia demagogica. Non si creda dunque che si possa risolvere tutto con il grande incontro o la riunione pletorica. Io mi chiedo perché di queste cose non si stia discutendo. Non se ne parla: altri preferiscono stressare altri argomenti. Perché non abbiamo il coraggio di dire che siamo del tutto insoddifatti: troveremo in questa maniera molte sintonie tra i candidati perché sento che l’insoddisfazione e la presa d’atto di queste difficoltà esiste per tutti».
Non lesina critiche…
«La mia critica muove dalla difficoltà che abbiamo incontrato in questi 2 anni. Non possiamo mutuare le modalità di Berlusconi perché noi non siamo Berlusconi. Abbiamo invece l’esigenza e l’opportunità di ripiegarci sugli unici strumenti disponibili che abbiamo: il gruppo dirigente, i circoli, gli uomini, le donne, i giovani che devono essere messi nelle condizioni di lavorare».
Ma rimane la sensazione di uno scontro tra vecchio e nuovo…
Io dico che abbiamo avuto un segretario regionale di 30 anni. Fu una scelta positiva? Se sì. E allora perchè viene interrotto questo ciclo e Lacorazza va a fare il presidente della Provincia? Credo che in questo ci sia già una presa d’atto della difficoltà e della necessità di mettere un pò di equilibrio in questa vicenda. E poi voglio aggiungere altro sui cosiddetti vecchi».
Cosa?
«Il lavoro fatto dal gruppo dirigente negli ultimi 15 anni e segnatamente da Antonio Luongo non può essere ridotto semplicemente alla formula: è stato bravo ma ora si metta da parte. Antonio ha dato una dimostrazione anche di disinteresse personale per molti anni per costruire una realtà in Basilicata che c’è stata invidiata in tutta Italia per capacità di coesione e per capacità di dare risposte. Non dimentichiamo che abbiamo macinato record nel corso degli anni. La difficoltà degli ultimi anni e riscontrabile proprio nella mancanza di uno stimolo e uno sforzo che Luongo ha saputo dare negli anni».
Perché Bersani e quale il suo valore aggiunto?
«Il Pd in questi 2 anni non ha avuto la possibilità di esprimere la grande ricchezza che pure ha al suo interno. Bersani dice che il Pd ha bisogno di una ripartenza e di essere un partito vero e di parlare il linguaggio delle cose reali. Di vivere dentro la vita delle persone e delle famiglie. Di suscitare attenzione e di creare alleanze intorno a un’idea comprensibile e chiara di società e di governo. Io sposo in pieno questa idea. Questa ripartenza è necessaria anche in Basilicata dove il Pd ha la necessità di diventare un partito popolare di massa per costruire una grande prospettiva di sviluppo sostenibile e duraturo. Concentrato sui problemi delle comunità locali».
Cosa è mancato?
«Il Pd è rimasto imprigionato in logiche conflittuali che l’anno portato sull’orlo dell’implosione. Deve diventare davvero plurale, inclusivo delle diverse sensibilità culturali, liberato dalla morsa delle logiche identitarie. Capace di esaltare la dialettica interna garantendo cittadinanza a tutte le opinioni. Le minoranze di partito non devono essere tollerate ma tutelate. Questa è la ricchezza vera».
Tanti problemi, ma le ricordo che gli Statuti del partito sono stati approvati all’unanimità.
«Purtroppo dico io. Sono stati approvati all’unanimità ma non bisogna dimenticarsi che l’elezione di Veltroni è avvenuta con una forma di “inconorazione”. Ma sapevamo che le Primarie del 2007 erano dal risultato scontato. Questo è il primo vero congresso dove il risultato non è dato per acquisito».
C’è il rischio di trovarsi il partito fratturato dopo il congresso?
«Penso che dipenderà molto da come il prossimo mese e mezzo sarà vissuto dai candidati nazionali e dal territorio. E’ una responsabilità grande che abbiamo. Ma non dobbiamo lasciarci impressionare dalle diverse candidature; se vissute in una dimensione serena possono portare a una ricchezza interna unificando non in maniera artificiosa come è avvenuto il 2007. Quella era un’unità artificiale. Si sapeva già che tutti quelli che sostenevano Veltroni su molti aspetti non erano d’accordo».
Sono troppi 4 candidati segretari in Basilicata?
«E’ la democrazia ragazzi. Abbiamo voluto questi meccanismi. E questi meccanismi creano specificità e sottolineature diverse che abbiamo il dovere di esplicitare».
Ma ci sono 2 candidati nella stessa area bersaniana non come invece, aveva auspicato il vice presidente del Parlamento europeo, il lucano Gianni Pittella. Non c’era modo di evitare questo?
«Non solo Pittella, che svolge ruoli di primo piano, ma anche tutti noi eravamo convinti che si potesse avere un solo candidato. Abbiamo riscontrato un disaccordo sulla necessità di correggere alcune impostazioni di questi 2 anni e sulle modalità per dare al Pd un più stabile assetto. L’irrigidimento non è stato il nostro. Vivo questa condizione senza retropensieri».
Intanto si è creata una divisione nell’ex gruppo storico diessino. Come vive questa spaccatura?
«Non deve sfuggire la critica che è stata mossa alla prima gestione del Pd. Purtroppo e l’aver deciso da parte di alcuni di voler continuare su quella strada ha provocato un dissenso. Ma anche questo lo vivo come un punto di forza e non di debolezza».
Ma c’è un fatto nuovo indiscutibile. Gli ex diellini hanno trovato compattezza mentre gli ex diessini no. Che succede?
«E’ una considerazione che in qualche modo dà ragione a chi parlava di amalgama mal riuscita. Arrivare al congresso con una parte consistente degli ex della Margherita (escluso il presidente De Filippo che a livello nazionale si è schierato con Bersani), tutti su Franceschini dimostra che va fatto uno sforzo per meglio amalgamarsi».
La scelta del candidato presidente regionale del centrosinistra è un tema congressuale e De Filippo è il naturale candidato?
«De Filippo ha ben operato e gli va riconosciuto che si è trovato a governare nella fase più difficile della vita della Regione almeno negli ultimi 20 anni. La decisione spetta a tutta la classe dirigente del Pd e non solo; perchè nessuno di noi può pensare che andremo alle regionali da soli».
La crisi del settore industriale è evidente la politica che deve fare?
«Penso che queste crisi segnalano un deficit di responsabilità da parte del mondo dell’impresa e da parte di alcuni pezzi dell’associazione degli industriali. Credo che quando si assumono degli impegni non possono che essere mantenuti. Il Pd deve suscitare mobilitazioni, affiancare i sindacati e mettere insieme le energie. Bersani ha sollevato la necessità di un patto europeo per il lavoro. Credo che la stessa cosa vada declinata a livello regionale».
Qualcosa sugli altri due candidati, Altobello e Restaino?
«A Restaino direi che un eccesso di manovra politicistica non è quello di cui ha bisogno il partito in questo momento. A Sabino Altobello direi che le distanze laiciste sono tutte dentro la mozione di Bersani e quindi è possibile rappresentarle in maniera adeguata».
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