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di FABIO AMENDOLARA
«Scusami Carmine, dopo che ti ho dato 700 mila euro fidandomi della parola mi consideri ancora un nemico?». Quei soldi, forse, servivano a coprire altri debiti. Era ormai un circolo vizioso quello in cui era caduto l’imprenditore Carmine Guarino, 55 anni, di Potenza. E’ al telefono con un direttore di banca. Si chiama Francesco Vena, ha 46 anni ed è di Matera. A Potenza guida una filiale di Banca Intesa e, sospettano i carabinieri del Ros (guidati dal maresciallo Michele Ciriello) per prestare i soldi a Guarino ha usato «fondi non riconducibili a trasparenti operazioni contabili».
L’inchiesta è quella sui tentativi di infiltrazione della camorra, condotta dal sostituto procuratore Henry John Woodcock. Il direttore di banca, secondo i carabinieri, è uno dei «finanziatori» del giro d’usura in cui era incappato Guarino prima di finire in carcere per resistenza a pubblico ufficiale. «L’analisi delle conversazioni intercettate – è scritto in uno dei capitoli dell’informativa portata dai carabinieri del Ros in procura qualche mese fa, che il Quotidiano ha potuto vedere in esclusiva – evidenzia in modo inequivocabile un preordinato accordo tra i due, seguito dalla materiale consegna dei soldi».
E’ Vena al telefono. Ricorda all’imprenditore che ci sono le scadenze da onorare: «Ho sempre quella carta firmata da me e te, ti ho dato 700 mila euro… che poi questo significa essere stronzi, dimmi tu. Questo… e questo me lo devi permettere di dire…». Vena può permettersi di dire questo e anche altro. Perché, secondo gli investigatori, riesce a «controllare» tutti i conti corrente di Guarino. Ecco cosa si dicono i due in un’altra telefonata. Vena: «Io per tutte le operazioni di cambio assegni gli sto facendo fare tutti… lo hai visto pure quello da 23, senza passare per il conto, perché se no non te li posso dare». Guarino: «E io che devo fare? tu sei il direttore di banca, mica io…». Poi Vena fa riferimento a un bonifico attivo di cui Guarino prospetta l’imminente arrivo sul suo conto corrente e chiede: «Ma è quello che ci dobbiamo dividere?». Scrivono i carabinieri del Ros: «E’ un espediente contabile adottato dal direttore Vena per cambiare, a tasso usuraio, vari assegni anche di un imprenditore bresciano». Sembra che quando Guarino non ce la fa più si trasformi anche in usuraio. Doppio volto. Usurato e usuraio. Ricostruiscono i carabinieri: i due «in combutta» provvedono «a scontare assegni privi di copertura di persone versanti in difficoltà economica, introitando entrambi, preventivamente, interessi elevatissimi». Si tratta del «378 per cento annuo». Ma i due non trattano alla pari. Vena non chiude un occhio per il grosso debito di Guarino e, hanno scoperto i carabinieri del Ros, «esercita ripetute pressioni con più o meno velate minacce di protesti e blocco di bonifici attivi». Guarino è così costretto, secondo gli investigatori, «a trovare qualsiasi strada pur di far rientrare le scoperture». Non solo. Deve fare anche qualche lavoretto al direttore. A Potenza nevica e quel giorno Vena ha un’amica che è rimasta bloccata in casa. Guarino ha un mezzo spazzaneve in località Montegrosso. Scrivono gli investigatori: «Tralascia il pubblico servizio a cui era in quel momento demandato e dirotta il mezzo verso l’amica di Vena». Non ce la fa più. Si lamenta con un amico: «Fammi un piacere… chiama il direttore… non ce la faccio più». L’amico risponde: «Che devo chiamare il direttore? Dai vacci piano… gliel’ho detto già oggi. Dove cazzo vai? Non è normale il direttore… questo non è normale. Quanto guadagna su questa operazione? A tenerti in vita, quanto guadagna? Non dirmi che è serio… dai, è serio Francesco… sì o no?». E Guarino: «Io non gli ho dato mai niente, mo’ non lo so gli altri che fanno… ma io non so niente proprio…». I problemi con il direttore continuano e lui è sul lastrico. Decide che è arrivato il momento di dare una svolta. Emerge dalla trascrizione di una telefonata. Parla con Elisa Carbone, la sua segretaria (con lei era stato arrestato nella maxinchiesta “Iena due”, quella sui rapporti tra mafia e politica). Le chiede notizie di una chiacchierata con un avvocato. Elisa riferisce che l’avvocato, dopo aver ascoltato l’accaduto (ovvero l’impossibilità di poter effettuare un’operazione di cassa) «ha prospettato di fare un telegramma intimidatorio alla banca e, qualora l’azione risultasse vana, di fare una denuncia alla procura della Repubblica, supportando l’accaduto con la presenza di testimoni». Quello che accade poi è storia di questi giorni. Guarino decide di parlare. Per il momento lo fa in udienza, al processo contro il boss Renato Martorano, numero uno della ’ndrangheta in Basilicata.
f.amendolara@luedi.it
(4. Continua)
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