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di ROCCO PEZZANO
Mentre prelevavano loro un ditino per poi poterle identificare, le salamandre della Val d’Agri non potevano immaginare cosa sarebbe venuto da quel piccolo sacrificio: partecipare a uno studio che dimostra la non pericolosità del petrolio sulla natura dell’area.
Uno studio che – presentato ieri nell’aula magna dell’ateneo lucano – farà sicuramente discutere a lungo. Innanzitutto per le conclusioni: i lavori forestali, la pastorizia e la costruzione di strade – questo emerge – hanno fatto danni come il petrolio non può fare. Di questo quanto meno è convinto il professor Giovanni Figliuolo, ricercatore della facoltà di Agraria, che ha illustrato il cuore della ricerca. La storia di questo studio affonda le radici in una rete che si chiama Ipieca e significa “associazione internazionale dell’industria del petrolio per la conservazione dell’ambiente”. Tre anni fa l’Eni commissionò la ricerca all’ateneo lucano. Tra i partner dell’iniziativa anche la Fondazione “Enrico Mattei” e la Shell, con il patrocinio della Regione Basilicata. Figliuolo racconta che pretese una condizione: ai dipendenti dell’Università della Basilicata non sarebbe andato un centesimo. I soldi del progetto sarebbero stato utilizzati tutti per le attività di ricerca.
«Così non si sarebbe mai potuto dire che, se le risultanze dell’indagine fossero state favorevoli all’Eni, era perché avevamo ricevuto un compenso. E così abbiamo lavorato con i nostri stipendi».
Dunque, il petrolio – se non nelle zone immediatamente vicine alle strutture – non ha portato danni alla biodiversità, ossia alla varietà di piante e animali che formano un certo ecosistema, cioè una zona naturale. Questo è ciò che si è detto ieri. L’Eni peraltro ha fatto firmare un contratto a tutti gli autori in cui si “blindava” la ricerca: non se ne può parlare se la società non dà il permesso. E uno dei docenti partecipanti ieri spiegava la frustrazione di aver lavorato per tre anni, senza percepire un euro («E questo passi») e soprattutto senza che nulla possa essere pubblicato a meno che l’Eni non dia il “placet”.
Figliuolo si definisce un “biofilo”, un amante della natura che, al pari degli altri autori dello studio, ha accettato proprio per questa sua passione. E per lo stesso motivo continuerà: dall’indagine dovranno venire fuori le azioni che l’Eni metterà in campo per rimediare ai guasti – pare limitati, a leggere il lavoro – che ha prodotto.
Ne hanno parlato, dopo il saluto della preside di Agraria Ivana Greco, anche Cesare Alberti di Catenaja dell’Eni e Timothy Reed di Fauna and Flora International, associazione esistente dal 1903 che si occupa di conservazione della natura e tutela delle specie minacciate. Ora la palla è alle associazioni ambientaliste. A quelle che di petrolio non ne vogliono sentire parlare, a chi denuncia inquinamenti e pericoli, a chi ha una posizione più morbida. C’è una ricerca scientifica a cui fare le pulci. Scientificamente.

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