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di SARA LORUSSO
POTENZA – Dopo quattro anni torna all’Università degli studi di Basilicata un prestigioso riconoscimento internazionale per la ricerca in matematica, più dettagliatamente, nel calcolo combinatorio. E’ al professore Gabor Korchmaros che è stato assegnata per il 2008 la medaglia Eulero istituita dall’istituto di combinatoria e delle sua applicazioni di Winnpeg, in Canada. E’ un premio ai “ricercatori in prima linea lungo tutta la carriera”. E’ un premio ai risultati di un lucano d’adozione, nato nella pianura ungherese nel 1948.
Il calcolo combinatorio è un settore molto ampio della matematica, «soprattutto molto moderno e in continuo cambiamento, perché modificato continuamente – spiega il professore – proprio dalle sue applicazioni, tanto nella teoria dei codici e che nella crittografia». Per i non addetti ai lavori, la cosa è meno semplice. Allora l’esempio concreto: «Quando c’è una comunicazione, accade, a volte, che il segnale sia disturbato. Ecco, il nostro compito è cercare di eliminare quegli ostacoli durante la trasmissione dei dati». Vale anche, nelle applicazioni in crittografia, per la trasmissione di codici che non devono essere intaccati, come cifre bancarie, l’anti-pirateria informatica. «In matematica c’è ancora tanto da scoprire. Sarebbe interessante anche se non avesse applicazioni “concrete”».
In Basilicata Korchmaros è approdato con l’istituzione dell’università. Allievo di Beniamino Segre, fondatore del Centro linceo interdisciplinare dell’Accademia nazionale dei Lincei, con cui cominciò a collaborare grazie a una borsa di studio. Poi in Calabria e in Puglia. Dopo a Potenza, dove «ho anche incontrato subito la donna che poi ho sposato» e con cui ha una figlia. Docente ordinario dell’Unibas dal 1987, insegna geometria nella facoltà di Scienze. «Lo sa che ho incontrato un numero di ragazzi bravi in matematica qui, in Basilicata, maggiore che altrove? Per la ricerca ci vuole passione, curiosità, la predisposizione a farsi sempre della domande». Ma l’ambiente – assicura – fa la sua parte. «Per diventare un ricercatore bravo devi formarti in un corso di laurea buono, con docenti altrettanto curiosi e che facciano ricerca». Ovvero, che non abbiano smesso di incuriosirsi. E «qui, ho trovato un’università giovane. Lo è ancora. L’attuale rettore Tamburo – tiene a ringraziare – sulla ricerca dà un grande stimolo». E poi ci sono gli altri del gruppo di ricerca e del dipartimento. Cita il professore Mastroianni, «dalla notevole reputazione internazionale», ma poi, passa nei corrodi e li presenta più o meno tutti «Vede – dice – la matematica ha un grosso vantaggio: non chiede un grande investimento di risorse economiche. Contemporaneamente, però, proprio questo fattore rende alta la competizione perché i risultati arrivano anche in Paesi, come India e Pakistan, in cui i talenti emergono anche senza grandi investimenti o tecnologie avanzate diffuse». Certo, «la crisi economica globale incide ovunque. Le risorse per la ricerca un tempo erano decisamente maggiori». Su una cosa è chiaro: «Lavorare a Potenza», in quella che è considerata una piccola università, «non vuol dire assolutamente non avere rapporti scientifici. L’ambiente, poi, aiuta. I numeri ristretti rispetto ad altri atenei facilitano il rapporto con gli studenti. Ecco, a volte, possiamo permetterci anche di “coccolarli” un po’, possiamo garantire esperienze formative quali l’Erasmus a un maggior numero di ragazzi». Ma «serve anche la serenità in famiglia». Ricercatore appassionato («non è solo un lavoro, è piacevole, studio anche la domenica»), è stato Korchmaros a individuare l’esistenza di una quarta famiglia algebrica. Sulla scrivania, davanti a una lavagna che mostra i segni di qualche pensiero scientifico, appoggiato, l’ultimo volume pubblicato. Il titolo non è certo di comune comprensione, “Curve algebriche su campi finiti”, pubblicato dalla Princeton University Press. Orgoglioso, apre le pagine dell’introduzione. «Vede, è scritto chiaro e tondo che questo lavoro è nato, in qualche modo, anche in Basilicata. Vuol dire che ciò che insegnamo qui, va bene anche a Princeton».
Quando è arrivato in città «nel 1987, probabilmente ero uno dei pochi stranieri di tutta la Regione – ironizza – Il mio accento urgherese era decisamente marcato e non passava inosservato. Eppure, ovunque mi trovassi, mi offrivano aiuto. Una volta, per raggiungere la periferia, un signore lasciò le sue attività per farmi strada con la propria macchina». In questa terra, «sto bene». Ha ricevuto offerte all’estero, «ma resto qui». Una passione extra-scientifica? «Le antenne satellitari, ne posso montare anche di molto grandi». A ben vedere, anche questo “hobby” ha in sé calcoli e dati. «Va bene, allora dico le lingue. Ascolto, in radio, trasmissioni di diversi Paesi. Mi capita anche con la tv, ma non la guardo spesso». Lo stereotipo del “matematico-genio” è altra cosa. «Poteva funzionare fino agli anni ‘40. Oggi, carta, penna e, soprattutto, cervello restano gli strumenti del lavoro quotidiano, ma per le applicazioni pratiche si fa ricorso anche alle macchine».
Ai ragazzi dice che «le università buone non sono solo quelle con il nome “famoso”». Invita i ragazzi a scoprire la passione per la matematica. «Sappiamo che a volte con questa disciplina, il messaggio non arriva o arriva n modo sbagliato. Si pensa che l’informatica contenga in sé già tutta la matematica, ma non è così. La matematica è viva, attuale, in evoluzione continua». Un «piccolo ateneo non eccelle in tutti i settori, ma si ricava nicchie di eccellenza in alcune branche». Oggi è sede di un dottorato di ricerca internazionale che ha lavorato proprio sulla crittografia. Quello che funziona qui, sembra vero, va bene anche a Princeton.

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