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Sono in molti a teorizzare che siamo all’inizio di una nuova rivoluzione industriale, la quarta. Per definirla è stato coniato un termine nel gergo di moda su Internet: “Fabbrica 4.0”. Dopo il vapore, l’elettricità e l’automazione, l’industria del nuovo millennio sarà interamente digitale. Le macchine interagiranno tra loro usando il paradigma dell’Internet delle cose, i robot svolgeranno molte funzioni che oggi sono degli umani. I sensori e le stampanti 3D saranno usati in quantità massicce e tutto sarà interconnesso. Il cloud potrà conservare tutti i dati dei processi di produzione e l’intera produzione sarà simulata e monitorata digitalmente.

Secondo le stime dell’Unione Europea, il modello della “Fabbrica 4.0” già nel 2020 dovrà portare il settore manifatturiero in Europa a generare il 20% del PIL, rispetto all’attuale 15%. In Germania da qualche anno stanno investendo centinaia di milioni di euro e la Cina ha definito un programma decennale per “Industry 4.0”. Certamente i benefici in termini di efficienza produttiva e di benessere economico potranno essere tanti, tuttavia mentre molti si occupano di come sarà la Fabbrica 4.0, sembra siano in pochi quelli che cercano di capire come sarà l’Operaio 4.0, quale sarà l’impatto di questo nuovo modo di produzione sul capitale umano.

Se si prova a fare una ricerca su Google del termine “Fabbrica 4.0″ si trovano oltre 15.000 pagine che discutono della questione, mentre se si cerca “Operaio 4.0” le pagine trovate sono soltanto una decina. Questo piccolo esempio serve a dimostrare come in Italia non ci sia molto interesse a comprendere l’impatto della nuova rivoluzione industriale sulle persone che direttamente saranno coinvolte. Il cambio di paradigma nelle forme di produzione nella nuova fabbrica richiede e provoca un nuovo modo di concepire il ruolo, le funzioni, e le competenze del lavoratore. La catena di montaggio sparirà, gli orari di lavoro saranno diversi, le mansioni riguarderanno molto il controllo e poco i lavori pesanti. Mentre le organizzazioni industriali mostrano molta attenzione verso i nuovi cambiamenti con l’obiettivo di sfruttarli al meglio per migliorare produzione e profitto, nonostante si sappia di questi nuovi scenari, la discussione nel mondo politico e soprattutto in quello sindacale su questa questione non sembra all’altezza delle sfide che essa pone.

Una felice eccezione in questo scenario è stato un convegno organizzato alcuni mesi fa dalla Fim, i metalmeccanici della Cisl, dal titolo “#sindacatofuturo in Industry 4.0”. Non potendo riportare i tanti temi discussi, ci limitiamo a ricordare alcuni passaggi dell’intervento di Bentivogli, segretario generale della Fim, che possono dare il senso dei rischi e dei cambiamenti che potrà portare la “Fabbrica 4.0” nel mondo sindacale e tra i lavoratori: «… Se il sindacato non si adeguerà, si avranno fabbriche senza sindacato, come già oggi avviene sempre più spesso. … Il bla bla bla sindacale, quello buono per tutte le stagioni, che parla di concertazione, di partecipazione, di maggiori investimenti da fare al Sud, in Fim è vietato. Dobbiamo studiare. … L’automazione ha prodotto una diminuzione di posti di lavoro, … i robot non sostituiranno le persone semplicemente, serviranno persone più qualificate e quindi sono necessari investimenti fortissimi sulla formazione.»

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