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SERVIVA il dibattito tra Di Consoli, De Ruggieri e Buccico per ricordarci chi siamo. Andrea ha ragione, ormai nel calderone “cultura” si nasconde un sistema di scatole cinesi dalle quali non esce vincente il nostro patrimonio storico-artistico ma i singoli detentori del patrimonio. Venezia ha fatto capire che l’essere capitale della cultura porterebbe forse qualche turista in più, ma non più soldi, Matera invece, abituata a far parte della Basilicata, si atteggia da città vip senza esserlo. Allora dov’è la cultura? La cultura è ancora quella delle accademie e delle università, o è quella delle associazioni e delle sagre, dei progetti finanziati a pioggia dai petroeuro? L’analisi socio-economica di Di Consoli la sposo pienamente, tuttavia che fare? Matera vincerà per merito o per politica? Meritocraticamente penso che il 6 politico di sessantottina memoria ci abbia relegato nella palude di mediocrità moderna e Matera meriterebbe il titolo di capitale della non cultura per come ha lasciato intatto il patrimonio familistico. De Ruggieri è ormai un geronte che parla pensando di essere “la cultura a Matera” sta con un piede nel pubblico, cda Unibas, ed uno nel privato, con fondazioni ed associazioni. Buccico dall’alto della sua cultura, non ha contribuito a costruire una destra seria e compatta in Basilicata, prendendo anche le difese di D’Andrea durante la querelle dei festeggiamenti dei 150 anni.

Ognuno si è rinchiuso pian piano nel suo feudo, recuperando un incastellamento di cui oggi siamo vittime. Non scomodo né Levi, né Banfield, né Putnam o Sant’Agostino. Il problema di Matera e di Basilicata è sintetizzabile stereotipando i tre interlocutori: Andrea Di Consoli, ossia parafrasi del libero e capace, l’intellettuale che diventa un problema per la cupola Basilicata; Raffaello De Ruggieri la personificazione della cultura politicizzata, di chi da geronte non smette di essere il centro del mondo fino a quando non arriva madre-natura, quindi il doroteismo di chi segue la corrente giusta; il senatore Buccico un uomo di cultura e carattere che forse avrebbe dovuto imparare nella vita a fare più “squadra”, esempio di quell’individualismo tipico dei cavalli di razza che sapendo di vivere in una terra bastarda finiscono col lasciare un impronta storica più leggera del loro ego.

Ecco Lucia il familismo amorale che è diventato individualismo amorale, e Matera ovviamente non si salva. 

Quindi ode a Matera, polis ricca di una regione povera direbbe qualche doroteo. Matera sopravvive mentre i comuni confinanti sono morti, ergo dov’è la cultura da premiare come capitale? Sarebbe più sensato premiare Potenza, almeno ha dimostrato come senza l’Unesco e senza un Parco della Murgia, sia possibile mantenere una borghesia basata solo sugli uffici pubblici. Niente strategie di mercato, solo trasferimenti statali, e neanche la globalizzazione diventa un problema.

Quale cultura deve essere premiata, quella della coerenza fatta di: strade moderne e pulite, infrastrutture, rispetto del patrimonio culturale, decoro paesaggistico ed urbanistico, livello della vita culturale ed universitaria, stato di salute del territorio attiguo, oppure della ricerca dell’effimero, della filiera politica che si attiva in maniera strumentale per un unico fine, investendo su Matera 2019 mentre muoiono i musei, i parchi archeologici, le biblioteche, le associazioni culturali libere, i siti ed il patrimonio architettonico di interesse storico.

Deve vincere la cultura lobbistica che ha sfilato durante le costose celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, oppure delle prebende politiche date alla Deputazioni di Storia Patria che preferirebbe scomparire piuttosto che far entrare giovani lucani?

L’unica cultura  che intravedo a 29 anni è quella cattolica, nel senso agostiniano del termine: in Basilicata c’è gente che ha la presunzione di racchiudere Dio nella sua testa, io continuo a sperare in un Dio che non elargisce favori, ma giustizia e spero che un giorno anche in Basilicata si possa avere meritocrazia. Fino ad allora avanti con Matera 2019 a.C..

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