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IERI SERA nell’ultima puntata di “Servizio pubblico” Michele Santoro, nel salutare i suoi telespettatori, ha dedicato l’intero format al rapporto politica-cultura e beni culturali. Sarà un caso ma la Milanesiana 2013 decantata da Vincenzo Santochirico non traccia strade per unire esperienze di “dimensioni” e magari anche “poetiche” diverse al fine di chiarire il critico quadro del sistema cultura. La trasmissione televisiva traccia chiaramente le macerie della burocrazia e della politica che non assume responsabilità per definire in termini moderni il rapporto esistente tra cultura e territorio, tra classe dirigente e intellettuali invece scoperchia sepolcri imbiancati autocelebrandosi. Oggi nel terzo millennio sono inammissibili le ritualità che alcuni soloni a turno offrono a microfoni e platee riverenti sempre alla ricerca sfrenata del consenso, convinti che le lezioni di De Martino, Carpitella o di Pedio siano solo frutto di ricerche per topi di Biblioteca. Per fortuna la conoscenza dei saperi hanno alimentato le coscienze critiche e pertanto non è più ammissibile il solo dichiarare per il gusto di apparire.
I ritardi della politica nazionale ed in particolare in Basilicata non salvano le istituzioni che alimentano, purtroppo, un sistema vizioso e demagogico negando nella sostanza le progettualità intese come necessità di costruire cultura sul territorio. La scelta da fare, e i tempi sono maturi, è quella di decidere tra politica del consenso e una politica di costruzione di cultura in particolare volta alle giovani generazioni, ai talenti e a quelli che hanno merito. Il protagonismo di chi mira a creare anche solo attraverso dichiarazioni “scontate?” un tasso di consenso va contrastato, fermato e soprattutto non considerato.
E’ di questi giorni il rapporto annuale di Federculture che sollecita attente riflessioni a chi ha il dovere di ridare dignità alla propria storia. Occorre acquisire consapevolezza e non essere indotti all’emergenza.
Per questo serve una strategia complessiva per combattere il buio dell’indifferenza. L’Italia investe in cultura lo 0,03 del PIL, la media Europea è del 1,2%. La democrazia delle opportunità non è quella della Basilicata di Zanardelli o di Levi ma quella di Pasolini. Le bellezze della nostra regione sono un bene sociale e non monumentalismi votati alle burocrazie esasperate che non consentono alle eccellenze, che pur ci sono, di correre la propria vita. L’apparato politico soffoca le attività creative, i buoni esempi e le buone pratiche. Il bilancio regionale mortifica i tentativi di rilancio delle attività fresche, giovani e innovative. Se si pensa ai budget di altre comunità europee nei quali vengono stanziate specifiche voci per aiutare la cultura a crescere ed essere elemento di crescita c’è da vergognarsi.
La politica culturale regionale è debole e per questo allontana i privati a fronte di un turismo culturale che da qualche anno è sorretto da azioni sostanziale mirate che concepiscono l’intervento misto quale reale volano per la crescita delle imprese che agiscono e si sviluppano in tale settore.
La cultura è trama di progresso, i suoi sviluppi concertati ed affidati a soggetti competenti possono far ritrovare coesione sociale e benessere perduto che rinsaldi le comunità con la qualità della vita.
Ecco l’importanza nel sostenere, anche nel terzo millennio fondamentale il rapporto centro-periferia e il decentramento culturale soprattutto in relazione alla crisi di ideali che ci espone a rischio deriva: per dirla con Napolitano una cultura non solo strategica ma scelta di civiltà.
*regista teatrale
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