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La rinuncia della «Coca Cola Company» all’acquisto di agrumi da un produttore di Rosarno non ha nulla a che vedere con le condizioni di lavoro dei braccianti immigrati. A puntualizzarlo, con una nota, è la stessa compagnia. Era stata una confederazione agricola a denunciare il mancato rinnovo di alcuni contratti di fornitura da parte della multinazionale come una possibile conseguenza delle condizioni di sfruttamento dei braccianti agricoli immigrati nella cittadina calabrese, due anni orsono scenario di una vera e propria rivolta dei braccianti provenienti dall’Afria.
«Da molti anni – si legge nel comunicato – The Coca-Cola Company sta lavorando per sostenere pratiche di lavoro corrette. Le nostre linee guida per i fornitori includono le nostre aspettative riguardo alle pratiche dei diritti umani sul posto di lavoro. Tutti i nostri fornitori diretti sono oggetto di audit regolari per garantire il rispetto di tali impegni. I più recenti audit dei nostri fornitori di succo in Italia, effettuati da esperti indipendenti, non hanno sollevato preoccupazioni. I nostri fornitori di succo hanno dichiarazioni da consorzi che li riforniscono e che attestano la loro conformità alle leggi del lavoro italiane. Siamo preoccupati – si legge in una nota della compagnia – per il quadro molto diverso descritto in questi giorni sulla stampa e stiamo cercando di comprendere la situazione. Stiamo ora verificando con i nostri fornitori locali, le autorità e le parti interessate come effettuare audit dei fornitori alla fonte. Stiamo anche verificando il ruolo attivo che Coca-Cola può avere nel facilitare la discussione e gli standard in modo da assicurare condizioni di lavoro e di salario dignitose per i lavoratori immigrati. Con riferimento alle ultime notizie rispetto ad uno specifico produttore di succo nella area di Rosarno, – si fa rilevare – confermiamo che il nostro attuale contratto stagionale con questo fornitore si sta concludendo e non è stato rinnovato. Questa decisione è stata operata prima che uscisse qualsiasi notizia e non ha nulla a che vedere con le accuse sulle condizioni di lavoro. Siamo interessati a questa area in Calabria – continua la nota – come fonte per un succo di alta qualità e vorremmo contribuire al suo sviluppo negli anni a venire. Siamo pronti a sederci con i fornitori e le autorità locali, tra cui il sindaco di Rosarno, per discutere possibili allineamenti strategici a lungo termine in grado di garantire un futuro di business reciprocamente vantaggioso con i produttori di succhi locali e, attraverso di loro, con le cooperative locali e gli agricoltori».
L’Assessore regionale all’Agricoltura, Michele Trematerra, intato, ha incontrato una delegazione delle organizzazioni di produttori e trasformatori di agrumi della Piana di Gioia Tauro.
«L’incontro -informa una nota dell’Ufficio stampa della Giunta – è nato allo scopo di verificare, tempestivamente, la fondatezza di alcune notizie diffuse recentemente, relativamente alla rinuncia da parte di importanti multinazionali all’acquisto di succo concentrato di agrumi calabresi. Rinuncia presumibilmente motivata – è scritto – da un ipotetico sfruttamento del lavoro di extracomunitari da parte di aziende produttrici di agrumi. Il quadro emerso dalla riunione è preoccupante ed il problema rischia, se non affrontato con la giusta serietà, di avere un effetto che va al di là del semplice fatto congiunturale». «In prima analisi – ha detto Trematerra – bisogna pensare agli agricoltori e, pertanto, occorre ricomporre il quadro di insieme senza pregiudiziali, ribadendo che le produzioni dei succhi calabresi sono di qualità, anche certificata, un fatto, questo, comprovato anche dalla presenza, tra gli acquirenti, di importanti multinazionali. Giova a tal proposito ricordare – ha detto l’assessore – che le forniture di succo alle grandi multinazionali sono precedute dalla verifica del rispetto di rigidi protocolli produttivi che, oltre agli aspetti qualitativi, prevedono anche aspetti etici e sociali. Nel caso specifico oggetto d’attenzione, si tratterebbe di scelte aziendali effettuate sull’onda di campagne mediatiche ingiustificatamente denigratorie che, per come impostate, gettano discredito sia sul mondo agricolo che su quello industriale. Perciò, pur riconoscendo la difficoltà del quadro strutturale dell’area, con produzioni a basso livello di diversificazione a cui bisogna dare soluzioni di medio e lungo periodo, è necessario avviare contatti di mediazione mirata con le multinazionali, la cui presenza è di grande valenza economica per un comparto che non sta vivendo un periodo particolarmente favorevole».
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