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Si commuove, nel suo ininterrotto parlare. Mimmo Calopresti ha grande charme intellettuale. E un senso dell’accoglienza umana ancora superiore. Davanti a un bel piatto preparato da Peppone di Cibò a Potenza appena lo provochi su Polistena scorre fluido con le parole e i ricordi come solo un uomo maturo, partito bambino, sa raccontare la sua terra. La cosa bella è che non riesce mai a dire no. Carattere dei generosi, come il suo sorriso.

 E soffre per una terra che tutti calpestano, spesso i calabresi stessi. “Fortunati a vivere in Basilicata”, dice. Ed è la seconda volta in pochi giorni che me lo sento ripetere. Presentando la sinergia editoriale del Quotidiano del Sud, l’ex presidente del Senato, Nicola  Mancino, ha ripetuto la stessa cosa. Un Sud “a macchia di leopardo” si diceva un tempo. De Sud preferisco il rumore del mare ma c’è altro da raccontare. Non sarà solo ‘ndrangheta la Calabria, non sarà un’oasi verde la Basilicata. E oggi che vogliono imporci una nuova regola di mestiere (non conta il contenuto ma la socialità di esso) mi chiedo dov’è finito il nostro ruolo, se esiste ancora un dovere di raccontare, oltre che il piacere di condividere.
Sentivo Mauro Masi a Matera al bel corso per giornalisti organizzato da Fausto Taverniti. “A chi gli frega se trasmettiamo sta roba?”. Lo diceva con tristezza, schiavo dell’auditel. Un tempo le copie erano il nostro auditel. Ti ponei il problema di una priorità. Che faccio? Racconto la festa o il dramma? Lo puoi fare anche oggi, certo. Anzi devi farlo. Incrociando la competenza di quelli come Mimmo Calopresti (cosa sono i suoi docufilm su Panatta e Socrates se non strepitosi quadri di personaggi che mai avrebbero avuto la stessa forza attrattiva senza immagini) ma ponendoti sempre lo scrupolo di stare dalla parte delle cose nascoste, dimenticate, abbandonate, evitate. La grande bellezza a volte è deturpata. E a volte è una battaglia giusta, di quella che non fa vendere, che non fa auditel. Chi la dà la voce al mondo senza trucco?
E allora? 

 

 

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